Roma «I parlamentari di Camera e Senato, visto che ho ricevuto diverse sollecitazioni in tal senso, sceglieranno i loro capigruppo con un voto». Silvio Berlusconi di fronte agli eletti di Fi decide di non intestarsi la scelta dei presidenti dei gruppi parlamentari ma di rimettere la decisione a deputati e senatori.
La cronologia a questo punto prevede l'incardinamento delle nuove Camere; l'elezione dei presidenti dei due rami del Parlamento; dopo tre giorni l'elezione dell'ufficio di presidenza e a seguire l'opzione dei parlamentari con la scelta dei gruppi di appartenenza. A quel punto gli eletti azzurri dovrebbero riunirsi e decidere se confermare Renato Brunetta alla Camera e Paolo Romani al Senato oppure eleggere nuovi capigruppo (a meno che non si decida di rimandare il tutto a dopo le consultazioni). Qualora si decidesse per un cambio della guardia in pole position ci sono Mara Carfagna e Mariastella Gelmini. Per il Senato la favorita è Anna Maria Bernini. A Berlusconi non dispiacerebbe avere «donne combattive», in grado di contrastare l'immagine dei giovani capigruppo grillini, ma al contempo è consapevole di quanto possa essere preziosa l'esperienza e la competenza dei due uscenti. In sostanza quindi lascerà libertà di scelta agli azzurri.
Il presidente di Forza Italia non nasconde la sua preoccupazione per una situazione decisamente ingarbugliata. «Solitamente gli schemi in una partita di calcio saltano nell'ultimo quarto d'ora. Qui ancora prima del fischio d'inizio», commenta un dirigente azzurro. «Per ora sono tutte ciacole, si gioca in difesa e si attende la mossa dell'altro», replica disincantato un leghista. «Se si parlano Salvini e Di Maio mica significa che fanno un governo». Dentro Forza Italia, però, il malumore è palpabile. «Nessuna delega in bianco, si va avanti per consultazioni separate. Salvini a dieci giorni dal voto se vuole fare il leader dovrebbe iniziare a indicare una prospettiva».
Di certo Berlusconi mostra di credere alla tenuta della coalizione. «Il programma è la pietra filosofale.
I nostri tre punti non negoziabili sono la riduzione delle tasse, lavoro ai giovani e lotta all'immigrazione irregolare». Insomma l'idea è che non ci si possa permettere di non fare un governo. E quanto più terrà quell'accordo «forte e profondo» stretto in campagna elettorale, «tanto più avremo la possibilità di poter essere attrattivi».
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