I primi risultati delle elezioni distrettuali di Hong Kong sembrano indicare un largo successo delle forze democratiche. «È uno tsunami», commenta il giovane attivista pro-democrazia Tommy Cheung Sau-yin, che ha sconfitto l'avversario pro-establishment, finora in carica. L'effetto dei sei mesi di manifestazioni contro le politiche filocinesi della governatrice Carrie Lam e del conseguente rifiuto ad aperture politiche credibili verso le istanze dei cittadini si è dunque riversato di fatto nelle urne, e ora a Pechino dovranno decidere come gestire una situazione che rappresenta ancor più di prima anche se in forme diverse una sfida alla pretesa del partito comunista cinese di addomesticare la libera società della ex colonia britannica.
Un'affluenza alle urne assolutamente straordinaria per delle semplici elezioni distrettuali aveva marcato la giornata elettorale di ieri a Hong Kong. Fin da ieri mattina file lunghissime di persone che pazientemente attendevano in strada sotto il sole il loro turno si erano disegnate in tutti i quartieri della metropoli, senza i temuti disordini e sotto la discreta sorveglianza della polizia. Si è recato a votare più del 70% degli oltre 4 milioni di cittadini che si erano registrati per essere ammessi ai seggi, il che significa che quasi 3 milioni di persone hanno depositato la scheda, ossia più del doppio rispetto alle ultime votazioni di questo tipo, che si erano tenute nel 2015.
Il fatto è che la chiamata alle urne di ieri aveva un significato molto particolare e innegabile. Dopo sei mesi di manifestazioni di piazza i cittadini di Hong Kong sapevano bene che stavolta non c'era in ballo solo l'abituale scelta di rappresentanti locali destinati a occuparsi di norme sul traffico stradale o di regolamenti scolastici: quello di ieri era un referendum sull'operato delle autorità e della polizia della ex colonia britannica, e più ancora della governatrice di Hong Kong.
Gli elettori non si sono fatti sfuggire l'occasione di inviare attraverso il loro voto un messaggio politico, più ancora che alla signora Lam, direttamente a Pechino. Cosa resa possibile dal fatto che le elezioni distrettuali sono le uniche realmente democratiche a Hong Kong: qui ogni voto contava per eleggere dei rappresentanti in modo genuino, senza filtri e regolamenti come quelli adottati per le elezioni del Parlamento locale, che sono concepiti al preciso scopo di rendere impossibile che la fazione filocinese perda il controllo politico della regione autonoma.
Si trattava dunque davvero di un referendum, per quanto anomalo. Votando i candidati dell'opposizione democratica si sarebbe espresso consapevole sostegno ai manifestanti anticinesi e anticomunisti, mentre scegliendo quelli delle liste filocinesi si sarebbe mandato il messaggio opposto: appoggio alle autorità e all'azione repressiva della polizia, con implicita richiesta di continuare ad agire per impedire con la forza le manifestazioni e i disordini che hanno crescentemente paralizzato Hong Kong dal maggio scorso e suscitato tanta irritazione in Xi Jinping e nel Partito comunista cinese.
I risultati completi erano attesi verso la mezzanotte di ieri ora italiana. Temendo brogli e consapevoli dell'importanza della posta in gioco, alle operazioni di spoglio erano presenti in ogni seggio centinaia di cittadini. Oggi si saprà nel dettaglio qual è il vero sentire della gente di Hong Kong, e anche a Pechino dovranno tenerne conto. Ma le anticipazioni trapelate nella serata di ieri indicano già una tendenza chiara.
E non è affatto escluso che, se la Cina - come è probabile - pretenderà di ignorare le richieste di vera democrazia che salgono dalla città cosmopolita su cui ha riacquistato la sovranità nel 1997, la brace accesa della rabbia popolare tornerà a incendiarsi con conseguenze molto pericolose.
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