Tute blu, effetto "Dignità": a rischio un posto su tre

Studio Federmeccanica: a causa del decreto Di Maio il 30% delle aziende non rinnoverà contratti a termine

Tute blu, effetto "Dignità": a rischio un posto su tre

Obiettivo mancato. La prima importante riforma economica del governo non è riuscita a creare lavoro né stabile né precario. Non è riuscita a creare lavoro. Risultato scontato per molti che a suo tempo bocciarono il Decreto dignità, primo provvedimento bandiera del vicepremier e leader M5s Luigi di Maio. Varare una stretta sul mercato del lavoro (limiti ai contratti a termine e inasprimento dei contributi per il lavoro flessibile) in un periodo di crisi significa attuare una politica prociclica; accelerare il peggio.

E dai dati sembra sia andata proprio così. Una conferma è arrivata ieri da Federmeccanica. La federazione delle imprese metalmeccaniche che aderiscono a Confindustria ha riferito che il 30 per cento delle aziende non rinnoverà, alla data di scadenza, i contratti a tempo determinato in essere; il 37 per cento intende trasformarli in contratti a tempo indeterminato mentre un altro 33 per cento si riserva di decidere, valutando la situazione alla scadenza.

In sostanza un lavoratore a termine su tre dell'industria metalmeccanica uscirà di scena e un altro 30 per cento è appeso a un filo. La scelta delle imprese potrebbe ad esempio dipendere dalle prossime scelte del governo. Ma il clima che si respira, soprattutto tra le grandi aziende, è pessimo, tanto come dimostra l'ultimatum del presidente di Confindustria Vincenzo Boccia al governo di due giorni fa.

Federmeccanica monitorerà gli sviluppi, soprattutto per capire cosa faranno le aziende ancora indecise, ha spiegato il direttore generale Stefano Franchi. Che ha anche proposto una ricetta per trasformare un dato negativo in un successo: per avere una occupazione stabile «serve una crescita stabile». Questa dipende dalla «competitività delle imprese» che si basa, tra l'altro, su «costo del lavoro, sostegno agli investimenti e istruzione e formazione». La flessibilità serve. «Noi riteniamo che la flessibilità possa agevolare. Una flessibilità - sottolinea Franchi - che non significa precarietà visto che nel nostro settore il 40 per cento dei contratti a tempo indeterminato sono trasformazioni di contratti flessibili e il 98 per cento dei contratti sono a tempo indeterminato».

Dal lavoro più classico a quello che un tempo veniva definito atipico, per la precisione quello che passa attraverso le agenzie. Dal primo gennaio ci saranno circa 53 mila persone che non potranno essere riavviate al lavoro attraverso le Agenzie per il Lavoro perché raggiungeranno i 24 mesi di limite massimo per un impiego a tempo determinato, previsto dal decreto dignità.

Il calcolo è una «stima prudenziale» sull'85% delle agenzie condotta da Assolavoro, Associazione delle Agenzie per il Lavoro, che chiede un cambio di rotta.

Il governo sta valutando delle modifiche, ma fino ad oggi non ne ha parlato né con i sindacati né con le aziende. Un po' come ha già fatto quando ha approvato la riforma del Lavoro targata M5s.

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