«Il dolore sta producendo risultati». Il 29 aprile 2013 l'allora vicesegretario generale dell'Ocse, Pier Carlo Padoan, al Wall Street Journal si lascia scappare un'imprudente glorificazione delle politiche di austerità e del consolidamento fiscale imposti dall'Europa.Il 6 settembre 2015, solo tre mesi fa, in veste di ministro dell'Economia commenta l'ipotesi di un intervento del fondo interbancario per salvare le piccole banche in difficoltà promettendo di adottare «misure market friendly». Ovvero amiche del mercato. Poi, però, il 22 novembre il governo Renzi vara il decreto che salva Etruria, CariChieti, Carife e Banca Marche (con i soldi delle big del credito) ma manda in fumo in una notte gli investimenti di migliaia di clienti. Allora Padoan indossa il «casco blu»: sostenere i piccoli risparmiatori che avevano obbligazioni subordinate «è un intervento umanitario che niente ha a che vedere con quello di risoluzione delle quattro banche entrate in crisi», dice martedì 8 dicembre da Bruxelles. Sfidando la Commissione Ue che già ha fatto saltare i piani dell'Italia sulla bad bank di sistema ed è sempre pronta a stanare eventuali aiuti di Stato. «La metamorfosi è quasi completa, il tecnico un tempo inflessibile è stato renzianizzato», è la battuta che si lascia scappare una fonte che lo frequentava qualche anno fa. Da capo economista dell'Ocse aveva firmato un rapporto che presentava sull'Italia una versione diversa da quella del governo. La crescita del 2014 era stata infatti prevista allo 0,6% e non all'1%, come avrebbero riportato tutti i documenti del Tesoro dove Padoan si sarebbe poi insediato. Il Pil resta una nota dolente anche da ministro: il clima «negativo» dopo gli attacchi di Parigi «potrà avere effetti sulla ripresa», dice Padoan in un'intervista al Corriere della Sera il 29 novembre. La previsione per fine anno «è confermata», ribatte subito piccato Renzi. E il 1° dicembre, arriva puntuale il siparietto: «Abbiamo fatto delle previsioni di crescita dello 0,7%, il Mef ha detto lo 0,9%, per me chiudiamo a +0,8%», scherza il presidente del Consiglio alla presentazione del nuovo libro di Bruno Vespa. Leggendo poi un sms del ministro: «Sullo 0,9% tieni la linea ».Il copione è ormai rodato: l'uomo dei sogni improvvisa a caccia di consensi, l'uomo dei numeri deve far tornare i conti dentro ai binari imposti da Bruxelles. Ma nel frattempo quest'ultimo «viene disintermediato da Matteo», aggiunge una fonte romana ricordando la sequenza di nomine varate dal presidente del Consiglio. A cominciare dal ribaltone al comando della Cassa Depositi e Prestiti che ha visto l'ascesa di Claudio Costamagna al posto di Franco Bassanini, sostenuto da Padoan nella lunga telenovela sul rinnovo. Idem per la scelta di Ernesto Maria Ruffini, nuovo ad di Equitalia, e per la recente «rottamazione» renziana del vertice delle Ferrovie con l'uscita di Marcello Messori, economista e vecchio amico del ministro. Per non parlare delle politiche fiscali. A luglio il «capo» ha chiesto uno «choc» da 20 miliardi per il prossimo anno. Un taglio netto e sostanzioso delle tasse, insomma, che sia in grado di dare una scossa decisa ai consumi. A ogni costo, tanto a quello ci dovrà pensare Padoan.Nel 2014 qualcuno scommette sulle sue dimissioni quando il ministro arriva a ipotizzare il ritiro del bonus degli 80 euro in busta paga. Renzi invece vede rosa e tira dritto. Seguono altre tensioni per la vendita del 35% di Cdp Reti alla società cinese State Grid, controllata dal governo di Pechino.
L'operazione serve a portare in cassa 2,1 miliardi di euro ma il Tesoro è contrario a cedere un asset strategico a un soggetto controllato da un governo straniero e per giunta esterno alla Ue. Ma anche quell'affare s'ha da fare per Renzi e il suo dream team di consiglieri economici. E dunque si fa. Per tutto il resto c'è Padoan. «Almeno finché resiste», è il commento dei maligni.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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