U n tempo ci accordavamo con i terroristi palestinesi nel nome del Lodo Moro. Oggi rischiamo d'arrenderci al fanatismo islamista nel nome del «lodo burkini» di Angelino Alfano. «Le nostre risposte, seppur dure, non devono mai diventare una provocazione potenzialmente capace di attirare attentati». Nelle parole con cui il ministro degli Interni prende le distanze, sul Corriere della Sera dalla messa al bando del «burkini» su sette spiagge francesi s'intravvedono pericolosi segnali d'arretramento di fronte all'avanzata dell'Islam radicale.
Il primo deriva dal confondere la vera provocazione, ovvero la comparsa del «burkini» sulle nostre spiagge, con la sua eventuale proibizione. L'esibizione sui lidi europei di un costume equivalente a quei «burqa» o a quei «niqab» imposti alle donne da wahabiti, salafiti e Fratelli Musulmani è un ulteriore sfida al nostro modello di società e rappresenta il tentativo di sostituirlo con un modello radicalmente diverso anche nei luoghi di villeggiatura e svago. A spiegarlo non è un «estremista» come Matteo Salvini o Marine Le Pen, ma un «socialista» come Manuel Valls. Schierandosi con i sette sindaci promotori della messa al bando del costume integrale il premier francese equipara il burkini alla «traduzione d'un progetto politico, di contro società fondata esplicitamente sull'asservimento della donna». Secondo Valls dietro l'apparenza morigerata di quel paramento da spiaggia si cela «l'idea che per natura le donne siano impudiche ed impure e per questo debbano essere totalmente coperte». Valls ribalta totalmente anche i timori di una provocazione anti-musulmana.
Al contrario di Alfano, preoccupato più dell'adesione al politicamente corretto che non della difesa dei valori, Valls esorta le comunità islamiche a smarcarsi dagli estremisti condannando «il velo integrale e tutti gli atti di provocazione che creano le condizioni per un confronto». A dar torto, indirettamente, al nostro Alfano contribuisce anche Laurence Rossignol, socialista e titolare del Ministero per i diritti delle donne di Parigi. «Il burkini - sostiene la Rossignol - non è semplicemente una nuova linea di costumi, è la versione da spiaggia del burqa e ne rappresenta la stessa logica, ovvero nascondere i corpi delle donne per controllarle meglio».
A far capire quanto Angelino Alfano sottovaluti il problema s'aggiungono le risposte del professor Gilles Kepel, vera autorità in materia d'islamismo, al quotidiano online americano Daily Beast. Per lo studioso, autore nel 2011 di un esaustivo rapporto sulle «enclavi» dell'islamismo francese, il «burkini» rappresenta l'ennesimo tentativo di mettere alla prova l'autorità dello stato. «Se non ci fossero le ordinanze (dei sindaci ndr) ci sarebbero molti più burkini sulle spiagge francesi» - spiega Kepel equiparando la diffusione del costume integrale a quel fiorire di «banlieue» equiparate, nel suo studio, a «società islamiche separate» dove la Sharia, la legge del Corano, ha ormai soppiantato quella francese.
Il nostro ministro degli interni non sembra insomma comprendere una questione fondamentale. Il «burkini» non è la semplice conseguenza di una crescente presenza musulmana in Europa, ma il tentativo delle componenti più estremiste dell'Islam d'imporre il loro modello in tutti i settori delle nostre società estendendolo da quello urbano, dove l'utilizzo di veli e «niqab» è ormai prassi comune, a quello, ancora incontaminato, dello svago del tempo libero.
Ma il «lasciar fare» predicato da Alfano nasconde anche l'abbandono di quelle comunità islamiche moderate dove, in presenza di una risposta dello Stato, ci si guarderebbe bene dall'aderire al modello radicale. Nella risposta del nostro ministro degli Interni non manca, infine, un esplicito atto di sottomissione al clima instaurato da chi utilizza l'arma del terrore per allontanarci dai nostri valori e dai nostri costumi.
Giustificando con la preoccupazione di evitar attentati la tolleranza nei confronti di un «burkini» simbolo esplicito del fanatismo islamista Alfano resuscita quel «lodo Moro» che - tra la fine degli anni '70 e i primi anni '80 - trasformò l'Italia in una sicura retrovia del terrorismo palestinese.
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