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Uggetti: la Cassazione annulla l'assoluzione che fece fare mea culpa a Di Maio (e Conte)

Il processo d'appello si dovrà rifare. Ancora ignote le motivazioni

Uggetti: la Cassazione annulla l'assoluzione che fece fare mea culpa a Di Maio (e Conte)

La Cassazione annulla a sorpresa la sentenza di assoluzione, e i forcaioli esultano. Dopo sei anni di odissea giudiziaria, e a quasi un anno dalla clamorosa assoluzione che spinse Luigi Di Maio, a nome dei grillini, a chiedere scusa e promettere «mai più gogna», la Suprema Corte dice che il processo all'ex sindaco Pd di Lodi Simone Uggetti deve ricominciare da capo. Cancellando l'assoluzione «per non aver commesso il fatto» della Corte d'appello. «Prendiamo atto e adesso attendiamo le motivazioni», dice l'avvocato difensore dell'esponente politico, Pietro Gabriele Roveda. «Poi proseguiremo la battaglia, cercando di capire su quali principi di diritto la Cassazione ha ritenuto di riformare la sentenza». Ammette: «Siamo delusi, anche per una tempistica sicuramente anomala, perchè è stata gestita con tempi particolari». Quanto a Uggetti, «è chiaramente deluso, e anche un po' stanco dopo tutti questi anni: non è finita, ci vorrà ancora tempo».

Il caso Uggetti era diventato un simbolo delle storture del rapporto tra politica e giustizia, e della strumentalizzazione becera delle vicende giudiziarie da parte di alcune forze politiche, Cinque Stelle in testa. L'allora sindaco era stato addirittura arrestato, e successivamente condannato a 10 mesi di carcere in primo grado, con l'accusa di turbativa d'asta per presunte irregolarità di un bando per la costruzione di una piscina comunale.

I giudici dell'Appello erano stati chiari: non c'è stato alcun reato, nè «nessuno sviamento di potere», neppure «nell'esercitare quel margine discrezionale di intervento riconosciuto dalla legge per l'esercizio dei poteri di indirizzo» da parte del primo cittadino, e men che meno «una incidenza indebita o collusiva sul bando di gara». Uggetti, insomma, non aveva fatto nulla di irregolare.

L'assoluzione, nel maggio scorso, fece gran rumore, e provocò il clamoroso «mea culpa» di Di Maio che gli chiese pubblicamente scusa per la forsennata campagna di accuse orchestrata dal suo partito. «Anche io contribuii ad alzare i toni e ad esacerbare il clima. Col senno di poi, credo che sia stato profondamente sbagliato» scrisse in una lettera aperta al Foglio, definendo «grottesche e disdicevoli» le manifestazioni di piazza e le proteste social organizzate dal suo partito (ma anche dalla Lega di Salvini).

E persino Giuseppe Conte ammise che «alimentare la gogna mediatica per contrastare gli avversari a fini elettorali contribuisce all'imbarbarimento dello scontro». Ora farà dietrofront?

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