Dai moniti a brutto muso come "chi non fa squadra è fuori dal governo" o "senza i nostri voti non si va da nessuna parte", alla foto di gruppo a Narni, dove l'intera (quasi) coalizione di governo si è ritrovata per tirare la volata al candidato Pd-M5s in Umbria. Non è la prima volta e non sarà l'ultima che una maggioranza passa, nel giro di pochi giorni, dai ferri corti alla concordia per ragioni elettorali. Ma anche stavolta la tregua non sembra destinata durare a lungo. Non tanto perchè il risultato di queste Regionali possa realmente mettere a rischio il governo (più incisivo in questo senso, semmai, portebbe essere il voto a gennaio in Emilia Romagna), quanto per gli impegni politici in agenda da qui alla fine dell'anno: la legge di stabilità da approvare in Parlamento, tra agguati e assalti alla diligenza che già si profilano nella stessa maggioranza, e la riforma della giustizia, su cui gli accordi tra alleati (stop alla prescrizione dopo il primo grado di giudizio e sorteggio per la composizione del Csm, tanto per citare i punti più controversi) sono tutt'altro che chiusi.
A malapena è servito il vertice di lunedì, preceduto da una fitta rete di incontri bilaterali, a silenziare le tensioni esplose dopo il varo della manovra la settimana scorsa. Quel che stava diventando un "tutti contro tutti" si è trasformato in un armistizio per cause di forza maggiore, per così dire, vista anche l'intensità dello scontro alimentata dal centrodestra sul terreno dell'intera tornata di Regionali. E allora via ad una serie di comizi sul territorio dei leader del M5s e del Pd, Luigi Di Maio e Nicola Zingaretti, culminati poi con l'idea di chiudere venerdì la campagna elettorale tutti insieme, compreso il premier, Giuseppe Conte. Una mossa distensiva, alla quale si sono sottratti però i renziani di Italia viva (ufficialmente perchè non sono in gara alle elezioni), diversamente da Leu che ha partecipato con il ministro Roberto Speranza. Quale che sia l'esito delle elezioni, tuttavia, i nodi lasciati in sospeso verranno al pettine a partire dalla prossima settimana.Gli alleati di governo, del resto, se le sono date verbalmente di santa ragione fino a pochi giorni fa, ed è improbabile che certi toni non abbiano lasciato il segno. Non è un mistero, per esempio, che i rapporti tra Conte e Di Maio, si siano raffreddati proprio sui contenuti della manovra, con frasi ultimative che hanno messo a dura prova pure la resistenza del Pd. Anche perchè il fuoco amico è arrivato al contempo dalla Leopolda di Iv che, anzichè mettere in sicurezza la coalizione, ha destato allarme fino a Palazzo Chigi.
La diffidenza del premier è alta nei confronti di Matteo Renzi sul quale, nonostante le ripetute rassicurazioni sulla durata della legislatura ("se qualcuno vuole andare a votare, lo dica apertamente: io non voglio"), gravano i precedenti del 2014: da "Enrico stai sereno", in pratica, a "Giuseppe stai sereno"? Ma non è tutto. Tra Conte e il M5s sembra in atto un contenzioso che non riguarda solo il presente. "Lo trovo un ottimo presidente del Consiglio, un bravo amministratore del governo - ha chiarito il ministro pentastellato Vincenzo Spadafora - ma non lo vedo come leader politico". Il premier non ha affatto gradito la fuga in avanti, quasi uno stop alle sue potenziali ambizioni dovute anche ai sondaggi che lo vedono nettamente più popolare di Di Maio. Ma pubblicamente la risposta è conciliante, in linea con il clima da chiusura di campagna elettorale. "Spadafora ha legittimamente espresso la sua opinione che va rispettata, ma non ho velleità da leader", assicura Conte. Da lunedì in poi, si vedrà.
E pensare che il premier Conte aveva detto che le elezioni in Umbria "non contano nulla essendo questa Regione assimilabile ad una provincia
grande come quella di Lecce". Poi il cambio di rotta. Improvvisamente l'Umbria diventa importante, tanto da portarci mezzo governo. Col premier c' erano Zingaretti, il ministro Leu della Sanità Roberto Speranza, Luigi Di Maio.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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