La guerra dei profughi è già perduta. L'armata di diecimila migranti siriani, pakistani e afghani partiti dalla Turchia macina frontiera dopo frontiera. E dopo aver cancellato quelle greche e balcaniche tracima oltre i confini meridionali dell'Ungheria, conquista i centri di raccolta di Roszke, risale verso Budapest. Duemilacinquecento sono già passati, 1300 sono finiti dietro le sbarre. Ma sono numeri transitori, irrilevanti, destinati a lievitare giorno dopo giorno. Sono l'ultimo scampolo dei 140mila transitati dall'inizio dell'anno. Sono il regalo avvelenato di una Turchia che si libera di loro e si guarda bene dal fermarli. Sono l'avanguardia delle decine di migliaia che al ritmo di tremila ogni 24 ore si riversano in Grecia, Macedonia e Serbia. Così il conflitto siriano, fomentato e alimentato da Istanbul, si allarga ai nostri territori, diventa eclatante, manifesta invasione dell'Europa. Un'invasione destinata a sconvolgere equilibri sociali e religiosi di un'Unione senza più governo, anima e identità. Un'Unione che solo oggi, a settimane dallo scoppio di questa vera e propria guerra della migrazione, si chiederà cosa fare durante una irrilevante riunione dei Paesi balcanici partecipata da Angela Merkel e guidata dal Commissario Federica Mogherini.
Così mentre l'Europa inerte rimira la propria disfatta l'ultima battaglia a cui assistere, almeno per il gusto del paradosso, resta quella alla frontiera ungherese. Lì la polizia e l'esercito di Viktor Orbàn, schierati dietro i 175 chilometri di filo spinato eretti alla frontiera serba, sembrano gli unici decisi ad affrontare la fiumana. Una fiumana con un unico obbiettivo: la Germania della Cancelliera Angela Merkel e quei Paesi del Baltico e del Grande Nord campioni di distaccato menefreghismo quando lo stesso tsunami toccava le coste greche ed italiche. Il vero mistero è dunque perché Orbàn e i suoi profondano tanto impegno. In fondo nessuno di quei diecimila vuole fermarsi da quelle parti. Sognano tutti la prosperosa Germania, i fiordi norvegesi, i bui inverni svedesi. E di certo nessuno in questa Europa senza priorità chiederà alcunché ad un premier ungherese ripetutamente bollato come fascista e autoritario. Tanto meno quella Merkel che a febbraio salì a Budapest per dirglielo in faccia.
Ma il problema è proprio questo. Proprio la manifesta inadeguatezza di Orbàn di fronte agli standard di democrazia pretesi da Berlino e Bruxelles, proprio la sua fedeltà a quei principi dell'inviolabilità delle frontiere, della sovranità e dell'identità nazionale archiviati dall'Europa liberal-burocratica fanno la differenza. Non saranno le Termopili, perché nessuno a Budapest morirà per quest'Europa. E non sarà una battaglia perché - come ricorda Orbàn - i suoi non spareranno un colpo. Sarà solo esempio. Una rappresentazione di cosa l'intera Europa dovrebbe fare di fronte alla propria invasione. Poi, conclusa l'esibizione, liberi tutti. Liberi di salire dalla Cancelliera che cancella le regole del Trattato di Dublino aprendo le porte della Germania ai rifugiati siriani. La Cancelliera che dichiara guerra ai nemici degli immigrati. La Cancelliera che promette «tolleranza zero» nei confronti di chi assalta e minaccia i centri di raccolta. La Cancelliera che però alla fine si ritrova a fronteggiare non la rabbia degli estremisti, ma bensì quella della propria gente.
Ieri a Heidenau, vicino a Dresda, ad insultarla e fischiarla non c'erano neonazisti e razzisti. C'erano anziani e famiglie con bambini. C'era una maggioranza silenziosa che alzava i pugni e le urlava «Merkel preoccupati prima del tuo popolo».- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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