
Che la sentenza della Corte Ue sulla definizione dei Paesi sicuri e sul protocollo Italia-Albania non sarebbe stata favorevole al governo italiano era nell'aria, almeno stando ai rumors filtrati negli ultimi giorni sia da Lussemburgo che da Bruxelles. E forse è anche per questa ragione che la scorsa settimana Giorgia Meloni ha deciso di riprendere in mano in prima persona il dossier migranti e aggiungere due missioni lampo alla sua già fitta agenda di trasferte internazionali. La prima giovedì scorso in Tunisia, la seconda ieri in Turchia, dove a Istanbul ha avuto un incontro non solo con il presidente turco Recep Tayyip Erdogan, ma anche con il primo ministro della Libia Abdelhamid Dbeibah, che guida il governo di unità nazionale con sede a Tripoli e riconosciuto dall'Onu. Un trilaterale durante il quale si è discusso sì di energia e cooperazione, ma si è soprattutto affrontato il dossier dei flussi migratori.
Anche a causa dell'instabilità della regione, infatti, la Libia è ampiamente il primo Paese da cui provengono i migranti che sbarcano sulle nostre coste. Secondo i dati del Viminale aggiornati a ieri, dei 36.557 clandestini arrivati via mare in Italia tra il primo gennaio e il primo agosto 2025, ben 32.690 (l'89,4%) salpano infatti dalla costa libica. Ed è la ragione per cui Meloni ha deciso di concentrarsi soprattutto su questo fronte, con l'obiettivo - spiega una nota di Palazzo Chigi - di "sostenere l'azione del governo di unità nazionale libico in ambito migratorio". Così, a Istanbul la premier ha discusso con i suoi interlocutori "una serie di linee d'azione per combattere le reti criminali internazionali di trafficanti di esseri umani, migliorare la prevenzione dei movimenti irregolari e sostenere la Libia nella gestione della pressione migratoria cui è sottoposta". Ed è anche in quest'ottica che l'Italia si impegna a "sostenere un processo politico che, a guida libica e con la facilitazione delle Nazioni Uniti, conduca a elezioni" che possano favorire "la stabilità, l'unità e l'indipendenza della Libia".
Un modo per provare a tamponare gli effetti della sentenza della Corte Ue, che preoccupano Palazzo Chigi sopratutto perché rischiano di condizionare le decisioni dei tribunali nei prossimi mesi. Non è un caso che Meloni abbia deciso di prendere pubblicamente le distanze dal pronunciamento dei giudici di Lussemburgo. La premier parla di "decisione che sorprende" perché "ancora una volta la giurisdizione, questa volta europea, rivendica spazi che non le competono a fronte di responsabilità che sono politiche". Insomma, secondo Meloni una vera e propria invasione di campo perché la Corte Ue sceglie di "consegnare a un qualsivoglia giudice nazionale la decisione non su singoli casi, bensì sulla parte della politica migratoria relativa alla disciplina dei rimpatri".
Il nodo, come è noto, è l'individuazione dei Paesi sicuri. Su cui, insiste la premier, in questo modo "prevale la decisione del giudice nazionale fondata perfino su fonti private" rispetto "agli esiti delle complesse istruttorie condotte dai ministeri interessati e valutate dal Parlamento sovrano". Un decisione "singolare", anche perché avviene a dieci mesi (giugno 2026) dall'entrata in vigore del Patto Ue su immigrazione e asilo, che prevede anche una lista di Paesi considerati sicuri già varata dalla Commissione Ue.
Con un paradosso, sottolinea Carlo Fidanza, capo-delegazione di Fdi-Ecr a Bruxelles. La sentenza della Corte Ue, infatti, riguarda il ricorso di due cittadini del Bangladesh portati in uno dei Cpr in Albania con la motivazione che il loro Paese di provenienza è considerato "sicuro". Su questo i due migranti hanno fatto ricorso al Tribunale di Roma che ha coinvolto la Corte Ue. Che ieri gli ha dato ragione, nonostante il Bangladesh sia nella lista dei Paesi sicuri stilata non solo dal governo italiano ma anche in quella della Commissione Ue che entrerà in vigore a giugno 2026.
Con il rischio - è il timore di Palazzo Chigi - che nei prossimi dieci mesi tutti gli i cittadini del Bangladesh che sbarcano sulle nostre coste abbiano lo stesso trattamento.
Non un dettaglio visto che - sempre dati del Viminale - il 32,4% degli irregolari sbarcati nel 2025 (11.863 su 36.557) sono proprio bangladesi. Ragione per cui la premier starebbe valutando la possibilità di sollecitare il Consiglio Ue ad anticipare l'entrata in vigore del Patto su migrazione e asilo.