Uno spettro si aggira per l'Europa, ma non ha i lineamenti foschi delineati da Karl Marx: ha semmai il volto spiritato e i capelli scombinati di Boris Johnson, il premier conservatore britannico che si è assunto il compito di trascinare il suo Paese un tempo esempio di equilibrio politico - fino alle estreme conseguenze della scelta irrazionale assunta più di tre anni fa di abbandonare per via referendaria l'Ue. La data fatidica del 31 ottobre si avvicina, e con essa il rischio di un'uscita senza accordo politico. Un disastro che scenari impietosi cominciano a descrivere con realismo nelle loro ricadute concrete: dal caos perenne ai posti di frontiera alle difficoltà di approvvigionamento di beni di consumo per un Paese sovrappopolato che forse aveva dimenticato fino a che punto dipendesse dalle importazioni per mettere in tavola ogni giorno pranzo e cena.
Lo spettro del liquidatore Johnson è però protagonista in carne e ossa in questi giorni, i pochi che mancano al vertice G7 fissato per il fine settimana a Biarritz in Francia, di cui sarà la stella paradossale. Prima del summit, lo scatenato «BoJo» ha scritto a Bruxelles pretendendo modifiche agli accordi, dopodiché incontrerà i due leader dell'Europa che conta, Angela Merkel ed Emmanuel Macron, poi nella cittadina sulle rive dell'Atlantico sarà la volta di Donald Trump. I primi due sono il simbolo di quel mondo che Johnson vuol fare abbandonare a qualsiasi prezzo al Regno Unito, l'altro è il modello politico, l'uomo al quale vuole affidare le fortune del suo Paese allargando la Manica e restringendo l'Oceano, versione aggiornata della storica special relationship tra Londra e Washington.
Peccato che questa relazione, stanti i pesi ineguali dei due partner, sia per definizione sbilanciata verso l'America, anche se retropensieri imperiali di churchilliana memoria fanno velo a Johnson, ancor più della sua bionda zazzera, a un'analisi oggettiva della situazione. Sicché l'annunciato mega accordo economico con gli Stati Uniti di Trump, anziché garantire la promessa ricca compensazione a ciò che verrà perduto separandosi dai partner d'Oltremanica, potrebbe rivelarsi nella migliore delle ipotesi un'arma a doppio taglio, e nella peggiore una via senza uscita in fondo alla quale l'attende un partner che conosce la sola bussola dell'America First. D'altra parte, Trump ha già dimostrato a Theresa May di poter essere impietoso anche con Londra, e non si capisce perché in un futuro anche prossimo non potrebbe fare lo stesso pure con Johnson, che è più debole di lui, se appena gli convenisse.
In queste ore che precedono il vertice francese, il presidente americano sfodera il suo stile più charmant: complimenti e incoraggiamenti verso il suo pupillo inglese, e si dice impazientissimo di incontrarlo mentre al telefono cinguetta con lui di libero scambio a due. Johnson sa molto bene che a Biarritz giocherà una partita fondamentale per accreditarsi al massimo livello internazionale come un leader di statura mondiale. Se sarà capace di ottenere la considerazione dei suoi pari, potrà reinvestire quanto avrà incassato anche a Westminster, dove ha avversari ben decisi a liberarsi di lui.
Ma la partita che Johnson si appresta a disputare è straordinariamente complessa: il premier britannico, in altre parole, non potrà limitarsi a scegliere il campo americano abbandonando quello europeo. Ci sono aperti dossier complicati, come ad esempio quello iraniano, quello energetico e quello climatico che richiederanno saggezza ed equilibrio. Ma forse la madre di tutte le partite si gioca sul suolo dell'Irlanda. Su quella isola periferica corre quello che diventerebbe, in caso di Brexit traumatica, l'unico vero confine terrestre tra l'Ue e il Regno Unito, con ricadute sui commerci internazionali di dimensioni ben superiori a quelle locali. Un aspetto anche più rilevante riguarda la natura specialissima della frontiera irlandese: oggi è talmente soft da essere invisibile, ma se tornasse un confine vero come BoJo pretende rischierebbe di riaccendere antiche e pericolosissime tensioni oggi latenti.
Bruxelles esige il backstop («La proposta di Londra non offre soluzioni», è la replica di Donald Tusk), la garanzia che questo non accadrà, e perfino l'amicone Trump ha fatto sapere per tempo a Londra che una hard Brexit pura e semplice non è accettabile perché Washington è uno dei garanti ufficiali della pace in Ulster. Ma Johnson, anche da quest'orecchio, non pare sentirci. E va avanti a capofitto, nel suo stile.
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