Se vogliamo chiamiamolo soltanto disordine mondiale. Ma il paradosso di Pakistan e India ad un passo dallo scontro nucleare mentre Donald Trump incontra Kim Jong Hun ad Hanoi e punta sulla de-nuclearizzazione della penisola coreana è anche il sintomo della crescente difficoltà dell'America ad esercitare il proprio ruolo di grande potenza.
Gran parte di quel ruolo l'ha già gettato alle ortiche l'Amministrazione Obama. Quel che resta rischia di svanire sotto i colpi di una politica estera priva di strategie di lungo termine. Per scoprire che i servizi segreti di Islamabad sono fuori controllo e appoggiano sia l'estremismo jihadista sia quello separatista del Kashmir non serviva la strage in territorio indiano all'origine dell'attuale crisi. Non a caso il rifugio di Bin Laden si trovava ad Abbottabad, una città pakistana sede delle più importanti accademie militari paese. Ma tagliare oltre un miliardo di dollari in aiuti militari al Pakistan - come ha fatto Trump - pretendendo nel contempo l'aiuto di Islamabad per negoziare con i talebani un dignitoso ritiro dall'Afghanistan equivale a riconoscere di non avere alternative. E proprio l'assenza di strategie alternative ha probabilmente convinto un'intelligence dalle finalità ambigue come quella pakistana a concedere il via libera ai terroristi mandati a colpire al cuore il nemico indiano. Con l'India non è andata meglio.
Approvando il primo raid aereo in territorio pakistano dalla guerra per il Bangla Desh del 1971 il premier Narendra Modi, portabandiera del nazionalismo indù, non ha parlato solo al nemico di Islamabad e ad un elettorato indiano chiamato a decidere, ad aprile, la sua non scontata rielezione. Con quel raid ha Modi ha risposto anche alle bacchettate di un Trump che - incurante della delicata partita elettorale indiana - lo accusava di scarso impegno sul fronte afghano trattandolo alla stregua di recalcitrante alleato al proprio servizio. Ignorando i richiami alla moderazione Modi ha insomma fatto capire ai propri elettori di non esser un vassallo di Washington.
Ora però la crisi, già difficilmente recuperabile, rischia d'influenzare anche quel già non facile vertice di Hanoi su cui Trump ha puntato tutte le sue carte. Sedersi al tavolo con Kim Jong Un mentre due paesi apparentemente alleati sfuggono al controllo e innescano una spirale capace di degenerare in guerra atomica non è proprio un segnale di forza e autorevolezza.
Soprattutto per un presidente che promette di ristabilire l'egemonia americana sul resto del mondo. E rischia, invece, di convincere il dittatore nord coreano che in fondo ignorare gli avvertimenti di Washington non è più un grande azzardo.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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