Usa, il Russiagate arriva al figlio del presidente

Donald Trump jr ammette: «Scambi con WikiLeaks». E Pence si distanzia dal numero uno

Usa, il Russiagate arriva al figlio del presidente

New York - Sempre più vicino al presidente. Il Russiagate giorno dopo giorno avanza minacciosamente verso la Casa Bianca e il clan dei Trump, prendendo di mira questa volta il primogenito del Commander in Chief. A finire nella bufera è Donald Jr, per i contatti e i messaggi scambiati con Wikileaks durante la campagna elettorale. A confermare l'indiscrezione, riportata dal magazine The Atlantic, è stato lo stesso figlio di Donald Trump, pubblicando su Twitter la corrispondenza incriminata con l'organizzazione di Julian Assange. E attaccando - velatamente ma non troppo - chi a Capitol Hill ha diffuso i documenti riservati. «Questi sono i messaggi, incluse le mie tre risposte, che una commissione del Congresso ha deciso di far uscire. Che ironia!», ha scritto sul sito di microblogging.

Wikileaks ha più volte contattato Don Jr durante la campagna del 2016, tra la fine di settembre e l'inizio di ottobre. In un tweet si parla di un Pac anti-Trump, in un altro Wikileaks si è detta contenta di essere stata nominata dall'allora candidato repubblicano. Nella maggior parte dei casi Donald Jr ha ignorato i messaggi, ma in un paio di occasioni ha risposto: per esempio, dietro domanda di Wikileaks, ha twittato un link con alcune email. L'organizzazione di Assange ha giocato un ruolo di rilievo nella corsa per le presidenziali, in particolare durante l'estate 2016 quando ha diffuso, nel primo giorno della Convention democratica di Philadelphia, le email rubate ai server del partito dell'Asinello sul tentativo della leadership di privilegiare Hillary Clinton a scapito del rivale Bernie Sanders.

Lo scambio di messaggi tra Trump Jr e Wikileaks ha scatenato immediatamente l'attacco dei dem, che ora puntano a sentire direttamente Trump Jr nell'ambito delle indagini sul Russiagate. Ma il legale del primogenito del tycoon ha spiegato: «Non siamo preoccupati da questi documenti e dalle domande che possono suscitare, alle quali sono già state date risposte nelle sedi appropriate». Il vice presidente Mike Pence, da parte sua, ha preso ancora una volta le distanze dai presunti legami tra l'entourage di The Donald e uomini di Mosca. Tramite una portavoce ha detto che «non sapeva di contatti fra qualcuno della campagna e Wikileaks, lo ha appreso solo dai media nelle ultime ore». Intanto, il ministro della Giustizia Jeff Sessions sta valutando la possibilità di nominare un secondo procuratore speciale oltre a Robert Mueller, per indagare su temi che preoccupano i repubblicani. Inclusi i presunti illeciti della Clinton Foundation e la controversa vendita di una società di uranio alla Russia quando Hillary Clinton era segretario di Stato. Nei mesi scorsi, secondo il Washington Post, è stato il presidente della commissione giudiziaria della Camera, Robert Goodlatte, a chiedere al ministro la nomina di un secondo procuratore.

E lo stesso Sessions ieri è stato sentito nel corso di un'audizione alla commissione Giustizia della Camera, in cui ha dovuto chiarire alcuni punti della sua deposizione precedente. In particolare sull'incontro a cui partecipò George Papadopoulos, il collaboratore volontario della campagna del presidente, che ha ammesso di aver mentito all'Fbi.

In un primo momento Sessions non lo aveva menzionato, e ora ha spiegato di essersene «ricordato soltanto dopo che è emerso nei media». «Respingo le accuse di aver mentito», ha precisato il ministro della Giustizia, ribadendo di aver «sempre detto la verità» sui contatti con i russi.

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