Finte, dribbling, silenzi, trame segrete, smentite, mosse sospette. La strana corsa al Colle di Romano Prodi, cultore di gare podistiche e sport di resistenza, procede a passo felpato, circospetto, quasi invisibile - ed è naturale dopo la tremenda impallinatura del 2013 - ma la carta «Prof» è sul tavolo (la prima del mazzo, peraltro, secondo i bookmaker) , malgrado gli sbuffi di fastidio del diretto interessato e del suo staff non appena lo si accenni. «Romano Prodi ribadisce di non essere interessato e di non essere disponibile per il Quirinale» garantisce Sandra Zampa, deputata Pd e portavoce dell'ex premier. Il quale smentisce di averci anche solo pensato («Non ho nessuna intenzione di fare il presidente della Repubblica. Non ho mai avuto lo sguardo rivolto al Colle, mai») mentre dopo un faccia a faccia con Renzi a Palazzo Chigi avrebbe espresso la volontà di restare «fuori dai giochi politici» sul Quirinale, ma di non poter impedire che il suo nome venga messo ai voti dai supporter. Come dire: io non sono interessato, ma se proprio insistete...
I vari pezzi, messi insieme, sembrano restituire una strategia non casuale. Anche perché il canovaccio della strana «non-candidatura» di Prodi al Quirinale appare identico a quello andato in scena nei giorni precedenti alla sua effettiva candidatura nell'aprile 2013, finita poi male. Risentiamo quel che diceva allora Prodi: «Il chiacchiericcio che mi associa al Quirinale ha assunto un'intensità davvero non rispettosa. Né nei confronti della mia persona né dell'Istituzione» (cioè l'Onu, che lo aveva da poco designato inviato per il Sahel). E poi, ancora più irritato: «Se fossi interessato alla carica di presidente della Repubblica in questo momento politicamente così delicato non sarei in viaggio per una settimana tra Vietnam e Thailandia». Poi però, nemmeno un mese dopo, quando l'assemblea del Pd al teatro Capranica vota con standing ovation il suo nome, naufragata la corsa di Franco Marini, a Prodi tocca mettere da parte Africa, Vietnam e Thailandia per diventare il candidato della maggioranza alla successione di Giorgio Napolitano. Un traguardo che l'ex leader dell'Ulivo vedrà solo per qualche ora, prima di essere fatto fuori dai 101 franchi tiratori del suo Pd (tutti ancora lì, ai loro posti, pronti a ricaricare i fucili).
Dunque la cronaca insegna che smentite e assicurazioni di disinteresse valgono ben poco. Prodi è un nome che sta bene alla minoranza Pd, ma la vera sostanza va cercata nei calcoli di Renzi. Che sembra giocare una doppia partita. Accreditarlo come possibile candidato per tenere buona la sinistra Pd e creare disordine nel centrodestra, ma poi lavorare per far scalare il Colle ad un presidente più affine al renzismo. Tuttavia, siccome i calcoli per la corsa al Quirinale, anche i più sofisticati, possono rivelarsi carta straccia, la mossa più saggia è preparare il terreno. Nel caso di Prodi, costruire le basi di un consenso più vasto e trasversale. E qui è significativo l'attivismo dell'ex premier. Anche all'estero, e proprio con Vladimir Putin, il presidente russo che ha un legame speciale con il leader di Forza Italia, e da qualche tempo anche con la Lega di Salvini. A metà dicembre Prodi era a Mosca, per un incontro di un'ora con Putin al Cremlino, e poi con il ministro degli esteri Serghiei Lavrov, per discutere di rapporti Ue-Russia (le sanzioni) e questioni energetiche. A Renzi, in difficoltà con Bruxelles, farebbe comodo una figura come Prodi, gradito in Ue.
Mentre Prodi, da qualche tempo nei suoi editoriali sul Messaggero , si propone nell'inedita chiave - per un euroentusiasta come l'ex presidente della Commissione Ue - di eurocritico, e persino anti-tedesco («Perché è un male un'Europa troppo tedesca», «Ambiguità Bce e miopia Ue sono ostacoli per la ripresa», «Una strategia per battere la burocrazia di bruxelles»). Toni che potrebbero trovare consensi dalle parti di Renzi, e non solo lì. Un caso?- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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