Il dato lo conoscevano così bene al Ministero della Salute da averlo impresso nero su bianco in un paio di versioni del piano vaccinale: nella fascia di età tra i 70 e i 79 anni “il tasso di letalità di coloro che vengono infettati risulta pari al 10%”. Cioè è altissima. Eppure, paradosso dei paradossi, questa fetta di italiani che riempie le corsie degli ospedali e i loculi dei cimiteri non ha praticamente ricevuto neppure le briciole delle quasi 10 milioni di dosi inoculate fino ad oggi. Di chi è la colpa? "Delle Regioni", si è detto. "Delle corporazioni", si è ipotizzato. E invece pare che tutto sia partito da un'indicazione fornita nientepopodimenoche da viale Lungotevere Ripa. Citofonare: Roberto Speranza.
I numeri ufficiali parlano chiaro: la fascia di età 70-79 è quella cui lo Stato ha destinato il numero inferiore di vaccini, appena 677mila su circa 5,9 milioni persone. Appena il 10%. Peraltro chi ha avuta la dose, l'ha conquistata più per l’appartenenza ad una categoria favorita (come sanitari, personale scolastico, dipendenti Asl, ospiti Rsa) che per questione di età. Molto meglio se la passano gli 80enni, dove ormai siamo quasi al 55% dei 4,4 milioni. Ma molto più in su in questa assurda classifica ci sono anche tutte le alte fasce di età, con una massiccia presenza di 50enni (1,6 milioni di vaccinati) e con quei 646mila 20enni su cui molto ci sarebbe da discutere, rientrati dalla finestra come studenti di medicina, ricercatori e sanitari. Una stortura pericolosa, che non solo rischia di condannare alla morte centinaia di neo-pensionati (la letalità tra i 70enni è calata pochissimo), ma che aggrava anche la situazione epidemiologica e sanitaria generale: tra i 565.508 casi degli ultimi 30 giorni, infatti, il 12,6% (71mila persone) hanno più di 70 anni. Di questi - come si può vedere dal grafico qui sotto - una buona fetta sviluppa una malattia definita “grave” o severa”. Una percentuale molto più alta rispetto alle altre fasce di età.
La domanda è: perché ci siamo dimenticati di loro? I fattori scatenanti sono molteplici, non tutti imputabili alla struttura Commissariale, ad Arcuri, Figliuolo o alle Regioni. Un po' è colpa delle aziende farmaceutiche, in perenne ritardo sulla distribuzione delle fiale. Poi c’è stato il doppio inciampo di AstraZeneca, prima utilizzabile fino a 55 anni, poi fino a 65 e a seguire per quasi tutti. Infine lo stop di alcuni giorni a causa delle presunte trombosi. Insomma: un quadro di per sé caotico, che però alcune scelte politiche nazionali hanno aiutato a peggiorare.
Per capirlo bisogna andare a rileggersi alcune delle diverse versioni del piano vaccinale italiano. Come normale che sia, infatti, il documento viene rivisto ogni volta che si presenta una novità sull’orizzonte vaccini. La stesura adottata il 2 gennaio dal ministro Speranza indicava tre categorie prioritarie cui inoculare il siero: il personale sanitario e sociosanitario, i residenti e gli operatori delle Rsa e infine gli anziani over 80. Come noto all’inizio le fiale sono arrivate col contagocce da Pfizer e Moderna, così la campagna è partita dagli ospedali con l’obiettivo dichiarato di creare delle strutture Covid Free. E qui potrebbe nascondersi il primo piccolo passo falso. Per quanto sia corretto proteggere chi sta “in prima linea” per evitare il collasso del servizio sanitario, l’obiettivo di rendere Covid free le strutture era più che aleatorio. Il motivo? Lo spiega lo stesso piano vaccinale: non v’è alcune certezza che i vaccini siano in grado di prevenire l’infezione. Tradotto: i sanitari vaccinati magari non si ammalano, ma si possono infettare e forse addirittura trasmettono il virus. Quindi gli ospedali saranno tutto, tranne che Covid free. Fatta questa premessa, a destare scalpore non sono ovviamente medici e infermieri immunizzati, ma le circa 490mila dosi consegnate ai dipendenti amministrativi delle Asl. Sono persone che non stanno solitamente a contatto con i malati, ma dietro una scrivania e magari in telelavoro: perché vaccinarle? Se avessimo dirottato quelle fiale (tutte di Pfizer e Moderna) verso i 70-80enni, probabilmente avremmo salvato alcune centinaia di vite. E non è poco.
La campagna è continuata per un po’ con questi ritmi, con gli 80enni considerati prioritari e vaccinati con discreta lentezza e i 70enni totalmente dimenticati. Quando poi finalmente a fine gennaio l’Ema e l’Aifa hanno autorizzato AstraZeneca, la faccenda si è complicata ulteriormente. L’Agenzia italiana infatti ha suggerito di utilizzare il siero di Oxford solo per la popolazione tra i 18 e i 55 anni e il ministero della Salute si è adeguato. Nelle Raccomandazioni sui gruppi da vaccinare dell’8 febbraio si legge: “Tenuto conto di tali indicazioni, potrà essere avviata in parallelo a quella dei soggetti prioritari della prima fase, la vaccinazione dei soggetti tra i 18 e i 55 anni con il vaccino AstraZeneca, a partire dal personale scolastico e universitario docente e non docente, le Forze Armate e di Polizia, i setting a rischio quali penitenziari e luoghi di comunità”. Compresi i monasteri. I 70enni si sono visti così scavalcare da ricercatori e bidelli (in teoria previsti in fase 3), mentre le Regioni si sbizzarrivano su quale categoria far passare davanti: c’è chi ha preferito gli avvocati, chi i giornalisti, chi altre lobby ancora.
Il piano faceva però una precisazione. Nel caso in cui l’Aifa avesse rettificato le sue posizioni, “l’ordine di priorità” sarebbe stato “soggetto ad opportuna tempestiva modifica”. Il 23 febbraio l’Aifa ha alzato a 65 anni il limite per iniettare AstraZeneca, decisione che però non ha modificato nella sostanza l’avanzamento della campagna vaccinale. La svolta è arrivata, o meglio sarebbe dovuta arrivare, l’8 marzo: l’apertura del siero di Oxford ad ogni età (salvo comorbidità) avrebbe dovuto bloccare le vaccinazioni a professori, maestre e avvocati per riportare l’attenzione sulle “persone estremamente vulnerabili” e sui 70enni (cioè le prime due categorie di priorità della fase 2). E invece?
Invece le Raccomandazioni ad interim sui gruppi target per le vaccinazioni, pubblicate il 10 marzo, cambiano improvvisamente le carte in tavole. L’ordine di priorità viene sì riscritto mettendo al primo posto le persone fragili, i 70enni e via a scendere con l’età. Ma poi il testo precisa: “Sono inoltre considerate prioritarie le seguenti categorie, a prescindere dall’età e dalle condizioni patologiche: personale docente e non docente, scolastico e universitario, forze armate, di polizia, del soccorso pubblico” e via dicendo. Ed è qui che casca l’asino. Perché invece di suggerire alle Regioni di bloccare le vaccinazioni a maestre, prof e docenti per concentrare le dosi sugli over 70 e sui malati, il piano invita a “procedere in parallelo” così da arrivare al “completamento della vaccinazione” delle categorie professionali. Le Regioni che hanno seguito alla lettera queste indicazioni, ora si trovano in fondo alla lista per anziani vaccinati.
E così oggi ci
troviamo in tutta Italia con 2,6 milioni di dosi finite a giovani appartenenti ad alcune categorie. Cioè quattro volte le fiale iniettate sulle braccia dei 70enni. È evidente che qualcosa è andato storto.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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