C he razza di gaffe, quella del comune di Treviglio. Che poi, gaffe, come vedremo, lo è fino a un certo punto. Ma ormai per un nonnulla si finisce nel tritacarne dell'inopportunismo, del politicamente corretto, del non-si-fa, del non-si-dice.
Treviglio è un paesone in provincia di Bergamo. Qualcuno in comune ha avuto la bella idea di distribuire nelle scuole locali un opuscolo di educazione civica e stradale intitolato «Ragazzi&la strada». Duemila copie, 68 pagine contenenti le regole da tenere sulle strade ma anche nella vita, con una sezione sul bullismo. Un'iniziativa commendevole. Ma si sa, di buone intenzioni è lastricata la via della polemica. Durante la presentazione del volumetto - celebrata in pompa magna nella sala consiliare, tra sindaci e vicesindaci (rispettivamente Juri Imeri e Pinuccia Prandina), comandanti della polizia locale (Antonio Nocera), dirigenti delle scuole cittadine e un paio di esponenti dell'azienda bergamasca che ha redatto e stampato i fascicoli, la «FB comunicazione» di Francesco Bertan, qualcuno si è messo a sfogliarlo scoprendo che alla pagina 45, dedicata all'alcolismo, viene individuato tra i fattori che influenzano l'alcolemia anche l'appartenenza a una determinata razza: «Alcune razze - si legge - sono costituzionalmente meno tolleranti all'alcol rispetto alla razza bianca».
La frase ovviamente ha provocato la rivolta delle anime belle. «È inaccettabile - ha detto Donatella Finardi, direttrice dell'Istituto comprensivo De Amicis - che nel 2018 vengano scritte cose simili». Le scuse sono presto arrivate dal vicesindaco Prandina: «Prendo le distanze da quella frase ha detto al Messaggero ma sono sicura che si tratti di un errore fatto in buona fede. Anche perché i libretti sono stati redatti professionisti che hanno distribuito la stessa pubblicazione nelle scuole di Bergamo e Clusone. Purtroppo non ho avuto modo di leggerli integralmente prima che venissero stampati, altrimenti avrei fatto cancellare quella frase sull'alcol. L'azienda mi ha comunque assicurato che entro pochi giorni farà la ristampa corretta».
Collegare la capacità di «reggere» l'alcol all'appartenenza a una razza non è un'idea geniale. In realtà collegare qualasiasi cosa all'appartenenza a una razza è sconsigliabile. Forse proprio usare la parola razza fa scattare la «red light» dei professionisti del benpensantismo militante. Il concetto è spinoso, meglio evitarlo se non si hanno spalle larghissime.
Quindi quello che i redattori del volumetto hanno scritto è sotto tanti punti di vista sciocco, inopportuno, semplicistico, goffo. Però non sbagliato. Perché la scienza ha più volte sostenuto la tesi secondo cui la razza asiatica sarebbe molto meno adatta all'assorbimento dell'alcol. In uno studio non recentissimo (è del 1998) condotto dallo psichiatra Giovanni Gianneli e dagli psicologi Gianluca Smeraldi, Lidia Agostini e Marusca Stella, intitolato «Alcool: effetti tossicologici e comportamenttali» tra i fattori che influenzano la «spiccata variabilità negli effetti determinati dall'alcool nei diversi individui», oltre all'età, al peso corporeo, alla modalità di assunzione, al sesso, alla quantità, anche la razza: «Esistono - si legge - fattori di variabilità collegati alla reazione all'alcool per razze differenti. Per esempio molte persone di origine dell'est dell'Asia hanno un enzima che ausa una reazione simil-allergica all'alcool». Nei popoli asiatici c'è una minore presenza nel fegato dell'enzima alcol-deidrogenasi, che lavorano ai fianchi le molecole di alcol.
Nelle popolazioni europee (razza caucasica) tra il 5 e il 20 per cento della popolazione non smaltisce in fretta una sbronza, mentre questa percentuale sale tra le etnie orientali come giapponesi, nativi americani e inuit fino al 90 per cento. Gli estensori del libretto hanno copiato pedissequamente questi studi, senza comprendere che avrebbero fatto meglio a sbianchettare la parte relativa alla razza.
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