Valls accusa i magistrati antiterrorismo

L'affondo in un'intervista a Le Monde: «Hanno fallito, ammettiamolo»

Valls accusa i magistrati antiterrorismo

L'unità repubblicana è durata poco. Anzi, non è neppure cominciata. La distanza e la freddezza tra Nicolas Sarkozy (che su Le Monde parla di «sinistra inebetita» di fronte al terrorismo) e François Hollande (che annuncia altri 23 mila uomini mobilitati a protezione dei luoghi sensibili) ha trovato l'epilogo con le dichiarazioni del premier Manuel Valls. Su Le Monde, Valls accusa la magistratura antiterrorismo di «fallimento, bisogna riconoscerlo». La scarcerazione a marzo di uno dei due assalitori della chiesa Saint-Etienne-de-Rouvray, scelta confermata in appello, ha rimesso in libertà un possibile terrorista che martedì si è mostrato tale sgozzando padre Jacques Hamel. A freddo, per la prima volta i socialisti si pongono nettamente in contrasto con la magistratura, secondo Valls colpevole di superficialità. Quanto accaduto «dovrebbe condurre i magistrati a un approccio diverso, caso per caso, tenuto conto della grande capacità di dissimulazione del jihadisti».

Il 19enne Adel Kermiche era stato avviato all'arte della dissimulazione in carcere, nella cella condivisa con un saudita «condannato per terrorismo»; non con un semplice sospettato. Il «pentimento» gli ha fatto guadagnare la libertà, seppure con un braccialetto elettronico. Valls è però convinto che ci sia «una linea invalicabile nella lotta al terrore, lo Stato di diritto» e avverte: «Il mio governo non creerà delle Guantanamo alla francese», apre all'idea di uno stop ai «finanziamenti dall'estero per la costruzione di moschee per un periodo ancora da determinare». Ma Christian Estrosi et Éric Ciotti (Repubblicani) gli ricordano la recentissima autorizzazione di una moschea finanziata dall'Arabia saudita, a Nizza, dandogli «dell'ipocrita».

Dopo aver accusato Sarkozy e la destra di aver «perso la testa», Valls fa appello a «un nuovo modello» di relazioni con l'islam, sul quale sta lavorando il ministro dell'Interno Bernard Cazeneuve. Il piano, ancora riservato, prevede che gli imam siano «formati in Francia, non altrove». La politica battibecca. I media invece si interrogano su come sia stato possibile che l'altro 19enne, Abdelmalik Petitjean, schedato con la lettera «S» per radicalizzazione dal 29 giugno dopo aver tentato di raggiungere al Siria dalla Turchia, abbia potuto lavorare all'aereoporto di Chambery, nel sud-est della Francia, tre mesi prima dell'aggressione a Rouen. Ultimo buco dei servizi di sicurezza, a quanto pare ignari del pericolo che dal dicembre 2015 al gennaio 2016 ogni fine settimana Abdelmalik fosse impiegato nel reparto bagagli dello scalo a meno di 100 chilometri dal confine italiano; un film già visto per uno degli attentatori che ha colpito a Bruxelles.

L'antiterrorismo non è riuscito a dare un volto ad Abdelmalik neppure dopo l'ultimo allarme del 22 luglio: «Quest'uomo è pronto a colpire in Francia», era l'informazione proveniente dall'estero. La sua foto, tratta dal video in cui presta giuramento all'Isis (e si rivolge a Hollande e Valls: «Siamo determinati, distruggeremo questo Paese»), non ha fatto scattare campanelli d'allarme su questo giovane che martedì, col sodale Adel, ha sgozzato padre Hamel. Era stato fermato il 10 giugno dalle autorità turche mentre cercava di raggiungere la Siria con un altro jihadista, già schedato e al contrario suo già espulso dalla Francia. Il giorno dopo, l'11, Abdelmalik era di nuovo Oltralpe, insospettato.

Ieri, intanto, un rifugiato siriano è stato coinvolto nell'inchiesta di Rouen e si aggiunge ad altre cinque persone bloccate dopo l'attacco, una iscritta nel registro degli indagati per «associazione di stampo terroristico».

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