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Verbale choc: "Mancano mascherine". Ma Di Maio le spedì in Cina

Pubblicati verbali della task force dopo il ricorso di Fratelli d'Italia. Il ministero della Salute sapeva dei problemi di approvvigionamento. Ma 18 tonnellate furono spedite a Pechino

Verbale choc: "Mancano mascherine". Ma Di Maio le spedì in Cina

Alla fine il segreto è stato tolto. Dopo mesi di battaglie di Galeazzo Bignami (Fdi), dopo un accesso agli atti andato a vuoto, un ricorso al Tar e diversi tentativi del ministero della Salute di non fornirli, finalmente i verbali della task force sono pubblici. Si tratta di documenti importanti per ricostruire i giorni che hanno preceduto il “giorno 0” di Codogno. E andranno analizzati a fondo. Ma soprattutto contengono rivelazioni che rischiano di gettare un’ombra sull’operato di Luigi Di Maio e Roberto Speranza. Quando il ministero degli Esteri inviò materiale sanitario verso la Cina, infatti, la task force era già consapevole della “limitata disponibilità” di dispositivi medici, mascherine e respiratori. Materiali che di lì a poco sarebbero serviti come il pane, ma che salparono lo stesso da Brindisi in direzione Pechino. Lasciando sguarnita l’Italia.

Per capire occorre tornare al 29 gennaio, una settimana dopo l’istituzione del gruppo di esperti. Quel giorno l’allora segretario generale del ministero, Giuseppe Ruocco, comunica ai presenti che “sono in corso rilevazioni di mercato per eventuale acquisto di dispositivi di protezione individuale, guanti, tute e mascherine”. Il virus ancora è solo un lontano nemico cinese. Ma, si sa, prevenire è meglio che curare. La preoccupazione di Ruocco è comprensibile. Il 2 febbraio infatti le notizie che arrivano dalle aziende sui "dispositivi medici" non sono così confortanti. Non solo “le informazioni non arrivano celermente”, ma al momento solo una ditta ha risposto all’appello affermando di averne in stock appena 800mila e di poterne recuperare non più di 400mila in dieci giorni. Un’inezia, se si pensa ai miliardi che verranno investiti nei mesi a seguire.

Anche sui dispositivi di protezione facciale regna totale incertezza. “Le maggiori aziende hanno incrementato la produzione”, dice Ruocco. E “pare” che in Cina “stia riprendendo anche la produzione”. Il problema però sono gli stock. Il 4 febbraio, dunque 11 giorni prima del volo che da Brindisi porterà tonnellate di dispositivi in Cina, Confindustria fa sapere al governo che “lo stock è sufficiente” solo “per due/tre mesi”, cioè al massimo fino ad aprile. “I problemi di approvvigionamento che riguardano le mascherine - si legge nel verbale - sono gli stessi di quelli dei dispositivi medici”. Col passare dei giorni il quadro non migliora. Anzi. Il 12 febbraio al tavolo della task force prende la parola di nuovo Ruocco e getta la bomba. Dal fronte “dispositivi medici”, spiega, “non giungono buone notizie": “La disponibilità è limitata" e "a tal proposito si è svolto un incontro con associazioni di categoria per quantificare l’approvvigionamento ed eventualmente bloccare la vendita a privati, riservando le scorte al Servizio Sanitario Nazionale".

Attenzione alle date. L’ultimo alert di Ruocco è del 12 febbraio. La carenza di dispositivi medici è acclarata. Il ministro, sempre presente alle riunioni della task force, lo sa. Addirittura c’è chi ipotizza di bloccare la vendita ai privati. E logica vorrebbe che venissero anche fermate le esportazioni. Eppure, il 15 febbraio, alla Base di pronto intervento delle Nazioni Unite di Brindisi accade qualcosa di incredibile. Su un volo umanitario “organizzato dalla Farnesina” vengono caricate 18 tonnellate di materiale sanitario. Sedici tonnellate hanno il bollino dell’Ambasciata cinese in Italia, e forse non si poteva fare molto per bloccarli se non requisire il tutto. Ma altre due tonnellate sono state addirittura “finanziate direttamente dalla Cooperazione italiana".

Da una parte dunque il ministro della Salute, presente alle riunioni, aveva contezza dei pochi dispositivi medici a disposizione. Dall’altra il collega Di Maio “organizzava” il decollo di 18 tonnellate di materiali sanitari verso l’estremo Oriente. Perché? Non si sono parlati? Possibile che in Consiglio dei ministri il leader di Leu non abbia informato il grillino delle mancate scorte? Oppure: per quale motivo si decise comunque di aiutare la Cina? Un indizio, forse, lo si trova a pagina 2 del verbale dell’11 febbraio. Speranza quel giorno prende la parola per ricordare che “a Palazzo Chigi” si è convenuto che il governo prenderà “iniziative di solidarietà nei confronti del popolo cinese”. Il motivo? Va bene la salute, ma occorre anche tenere conto “delle legittime ripercussioni economiche e dell’intrattenimento delle relazioni diplomatiche con la Cina”. Insomma: non avevamo mascherine, sapevamo di avere difficoltà a reperirle, però le abbiamo regalate ai cinesi.

Dicendo agli italiani che andava "tutto bene". Intanto migliaia di dpi specialistici per operatori sanitari, tute di protezione e mascherine protettive prendevano la strada di Pechino. Lasciando (ancora di più) a secco l’Italia.

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