L'Italia? Agli antipodi del paradiso fiscale: il Bel Paese è meno bello quando si tratta di parlare di tributi e imposte e salta fuori che siamo tutti tartassati per riempire le tasche allo Stato. Lo rivela il rapporto annuale dell'Ocse sulle entrate da tassazione, che traccia un quadro impietoso del fisco nostrano, assegnandoci un record mondiale. Nessun'altra nazione conta così tanto sulle tasse per far cassa: nel 2015 ben il 91,4 per cento delle entrate finanziarie pubbliche sono arrivate, appunto, dalle entrate fiscali. Un'enormità, paragonata anche alla media dei Paesi Ocse, che è dell'82 per cento, quasi dieci punti più sotto. Siamo ancora sul podio anche con il terzo posto, ugualmente poco invidiabile, conquistato per il rapporto tra entrate fiscali e spesa pubblica: per ogni euro investito dallo stato 86,6 centesimi arrivano dalle tasse.
Anche in termini di pressione fiscale i dati confermano la percezione dei contribuenti di venire regolarmente alleggeriti da tributi e imposte. Il fisco italiano, infatti, è il sesto più oneroso al mondo, nonostante il leggero calo del rapporto tra tasse e Pil, sceso tra 2015 e 2016 dello 0,4 per cento, e ora a quota 42,9 rispetto al prodotto interno lordo. Più pesante la pressione solo in Danimarca, Francia, Belgio, Finlandia e Svezia, e a distanza siderale dal leggerissimo fisco messicano (17,2 per cento), dagli Usa (26 per cento) e pure dalla Germania, solo 12esima e ben sotto la soglia del 40 per cento con il 37,6. La pressione fiscale fa sì che in media ogni contribuente italiano, a parità di potere d'acquisto, ha pagato 16,133 dollari nel 2015, mentre un messicano si è alleggerito di poco più di 2mila dollari. Una differenza «pesante», appunto.
A pagare questa pioggia di tasse e tributi sono soprattutto i redditi, i profitti personali (13,8 rispetto al Pil) e la previdenza sociale (13%), tutte voci che vedono l'Italia tartassare i suoi cittadini molto più della media dei Paesi Ocse. Sotto la media, invece, l'incidenza del prelievo fiscale sui redditi societari e l'Iva, l'imposta sul valore aggiunto, mentre è in linea con i partner Ocse la tassazione sugli immobili. E quando si tratta di mettere la mano in tasca ai contribuenti, funziona pure il decentramento. A giudicare dal report dell'Ocse, infatti, anche il federalismo fiscale si fa largo, con ben il 16,5 per cento della tassazione complessiva che è finito nelle casse degli enti locali contro il 53,1 per cento del prelievo che è rimasto appannaggio dello Stato centrale. Per farsi un'idea del trend, nel 1995 comuni e regioni si assicuravano appena un 5,4 per cento dei proventi complessivi del fisco. Ma il passato è passato. E se è dietro le spalle anche l'anno più «oneroso» per i contribuenti italiani (2013, 44,1 per cento), per tornare a una pressione fiscale che nel nostro Paese fosse inferiore alla media Ocse tocca viaggiare fino al lontano 1965, quando le tasse in Italia pesavano quasi la metà rispetto ad ora, attestandosi al 24,7 per cento del Pil.
Nel frattempo però le esigenze di spesa sono cresciute a dismisura, tra stipendi degli statali, una sanità pubblica sempre più costosa e un sistema previdenziale al quale per sopravvivere non bastano certo le entrate contributive, ma serve una grossa mano dallo Stato. Che, con l'altra, si rifà con la leva fiscale.
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