Il vero nemico? La Russia ce l'ha in casa

Il vero nemico? La Russia ce l'ha in casa

Aeroporti e posti di frontiera presi d'assalto da gente che cerca di lasciare il proprio Paese, manifestanti contro la mobilitazione bastonati, arrestati, scaraventati contro le vetrine dei negozi eleganti del centro di Mosca, che vanno in frantumi come l'assurda retorica guerresca di Vladimir Putin. Quella che vorrebbe il popolo russo unito in armi non solo contro i cosiddetti nazisti dell'Ucraina improbabili come quelli dell'Illinois del film I Blues brothers ma contro l'Occidente tutto, accusato di essere il vero nemico della Santa Russia. La verità è però quella che i cittadini russi, o almeno molti di loro, stanno capendo in queste ore sulla propria pelle: il vero nemico ce l'hanno in casa, ed è il dittatore del Cremlino. Un uomo disperato e rabbioso, al quale l'incapacità di uscire vincitore dall'avventura folle in cui ha gettato se stesso e il suo Paese sta annebbiando la mente al punto di sfidare il suo stesso popolo. È lampante che la maggioranza dei russi non vuole morire per la megalomania di Putin. I ranghi dell'esercito, decimati dagli ucraini, non si riescono a ricolmare per via volontaria, nemmeno facendo ricorso a mercenari stranieri e a migliaia di galeotti allettati dal premio della libertà a guerra conclusa. Serve la «mobilitazione parziale», che forse tanto parziale non sarà visto che già si parla non più di trecentomila, ma di un milione di riservisti da richiamare: ovvero costringere i cittadini comuni a indossare la divisa e, dopo un breve addestramento, finire al fronte. Quale sia la fiducia che Putin e i suoi gerarchi hanno nello spirito guerriero di questi uomini lo dimostra la durezza draconiana delle leggi promulgate contro renitenti e disertori - dai 10 ai 15 anni di galera - o l'annuncio che i contestatori arrestati saranno i primi a essere inviati a combattere. Putin sta scaricando sul suo stesso popolo, più o meno consapevolmente, le sue stesse rabbia e disperazione. E come già in passate occasioni, soprattutto quando Aleksei Navalny era riuscito a portare nelle strade decine di migliaia di oppositori, ci si domanda oggi se la mossa della mobilitazione potrà segnare l'inizio della fine di Putin. Che l'opposizione stia crescendo, anche nelle province profonde più toccate dai lutti della guerra, è un fatto.

Ma che sia questo ad aprire una crepa nel regime, al momento pare improbabile: storicamente, in Russia, la voce del popolo è poco ascoltata. Se Putin cadrà, non sarà per mano del popolo impotente, ma semmai di qualche uomo di potere che cercherà così di salvare ricchezze e privilegi cui è difficile rinunciare.

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