Il vero Vietnam è il Senato: il governo non ha i numeri e la fronda prepara agguati

Ieri la riforma della Pa è passata con 144 sì ben al di sotto della maggioranza dell'Aula. Campanello d'allarme per l'esame della legge costituzionale sulla Camera delle Autonomie

Roma - C'è poco da rallegrarsi. E i sorrisi stampati sul volto dei protagonisti erano quanto meno tirati. Era tirato il volto di Marianna Madia, ministro della Pubblica amministrazione. Era stirata la smorfia di compiacimento del ministro della Salute Beatrice Lorenzin. Quella ottenuta ieri a Palazzo Madama è stata una vittoria «zoppa». Si votava la riforma della Pubblica amministrazione, la sua razionalizzazione al fine di diminuire sprechi e aumentarne la funzionalità. A votarla sono stati in 144. A opporsi nessuno. L'opposizione infatti non ha partecipato al voto. Però i conti sono facili da fare. La maggioranza al Senato è la metà di 315 più uno. Ovviamente se sono tutti presenti. Quindi il bottino raccolto ieri è sotto la soglia di rischio. E il messaggio che ora le opposizioni lanciano è più che chiaro. Va bene, sembrano dire tutti quegli scranni vuoti, far passare la riforma della pubblica amministrazione. Ma quando si tratterà di riportare in questa aula la riforma del Senato in terza lettura le cose andranno diversamente. E sicuramente non andranno lisce per Renzi e i suoi. Dicono che molti degli oppositori interni di Renzi (molti di quei 38 che non hanno votato la fiducia sull' Italicum alla Camera) spingono per un'uscita dal Pd. Una fuga che potrebbe avere un risalto ben maggiore nell'aula del Senato dove i numeri della maggioranza (non solo di governo, ma anche renziana all'interno del Pd) sono tutt'altro che rassicuranti. Giuseppe Civati, per esempio, già ipotizza un gruppo parlamentare nuovo a Palazzo Madama. Magari composto insieme con i fuoriusciti pentastellati. Molti sostengono che un'ipotesi del genere costringerebbe il machiavellico Renzi a rivolgersi a un altro toscanaccio come Verdini per salvare il suo governo. Pensiero malizioso, ovvio. Ma non del tutto infondato. E comunque preso molto sul serio da chi frequenta l'aula e i corridoi del Senato. Quasi che l'aula di Palazzo Madama possa rappresentare un palude affatto rischiosa (se non mortale). E questo nonostante le parole rassicuranti pronunciate dalla stessa Madia. «Oggi il Senato ha detto sì - commenta - a interventi che potevano avere una resistenza settoriale. E invece così non è stato». Come a dire: la maggioranza è forte anche a dispetto di un argomento spinoso come il dimezzamento delle Camere di commercio. Ma gli addetti ai lavori non la bevono. Tantomeno i bersaniani riottosi. Come il senatore Miguel Gotor che commentando il voto sull' Italicum alla Camera parla di una modesta «vittoria di Pirro».

Da storico di professione, Gotor snocciola dati e parallelismi («La fiducia sulla legge elettorale? Uno sfregio che da noi è stato imposto solo due volte: nel 1923 e nel 1953 con la Legge Truffa»), ma da politico lancia anatemi ben più sapidi: «La fiducia è stata un segnale di debolezza di Renzi, un passaggio che rafforza le ragioni della sinistra nel Pd». Come a dire: la fuoriscita è vicina. Altro che Aventino!

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