Il Pd arriva unito in mattinata alle consultazioni del Colle, ma non dura molto. Già nel pomeriggio si litiga sull'opportunità di accettare o meno l'invito ad un incontro «sui programmi» lanciato da Luigi Di Maio: i renziani ripetono subito: «Mai, ci presteremmo solo al gioco dei grillini che vogliono uscire dalle proprie difficoltà». Il reggente Martina, invece, sarebbe orientato a mostrarsi disponibile quanto meno ad un dialogo «istituzionale», anche in ossequio all'invito fatto dal Quirinale alle forze politiche affinché si confrontino sulla via d'uscita dalla crisi.
Martina si mette al telefono, consulta sul tema tutti i capicorrente del Pd, nel frattempo però le ore passano, i Cinque Stelle insistono, e dai dem non arriva nessuna risposta ufficiale. Una situazione a dir poco bizzarra, tanto che alla fine raccontano è proprio Renzi a far rompere il silenzio prima che diventi assordante, e a far trapelare quella che è la linea maggioritaria nel partito: «Non ci sarà nessun incontro fino a quando non ci sarà almeno un pre-incarico».
All'incontro ufficiale al Quirinale, il Pd si è presentato con Martina, i capigruppo Delrio e Marcucci e il presidente Orfini. La linea è quella già sancita da Renzi: «Il risultato elettorale negativo per noi non ci consente di formulare ipotesi di governo che ci riguardino», premette il reggente. Ma anche dal suo «nuovo ruolo di minoranza», spiega, il Pd vuole essere «utile al Paese». Per questo, i big del partito hanno concordato un documento in quattro punti che riassume i paletti «fondamentali» per i dem: estensione del reddito di inclusione, al posto delle «soluzioni irrealistiche vagheggiate» da chi parla di reddito di cittadinanza; nessuno strappo alle regole sul controllo della spesa pubblica; conferma delle politiche del governo attuale sull'immigrazione; conferma della collocazione internazionale dell'Italia, europeista e atlantista.
Dietro ai mal di pancia del Pd, che si arrovella anche sulla semplice risposta da dare a Di Maio, c'è la partita della segreteria. Martina ha annunciato la sua candidatura alla vigilia della salita al Colle (prendendo alla sprovvista Renzi, che non se l'aspettava per quel giorno), ma tra i renziani c'è grande tensione: c'è chi vorrebbe far saltare il reggente schierando un altro candidato, e chi propone di condizionare il sì a Martina ad un accordo di ferro su linea e controllo del partito (si ipotizza ad esempio un Luca Lotti vice, o capo dell'Organizzazione). Ieri Renzi ha riunito un suo «caminetto», con Marcucci e Delrio, Orfini e Guerini, Lotti e Boschi e Rosato, per consultarli sul da farsi.
Nulla di deciso, spiegano i partecipanti, ma l'ipotesi di non votare il segretario all'Assemblea del 21 aprile, e di rinviare tutto ad un congresso tra qualche mese è «assai probabile». Martina resterebbe reggente fino al congresso, ma non avrebbe un mandato pieno. E nel frattempo Renzi e i suoi proverebbero a cercare un candidato alternativo, che per il momento non si vede all'orizzonte.
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