Donald Trump

Vertice Trump-Marchionne: "Ambientalisti fuori controllo"

I big dell'auto alla Casa Bianca: riduzione delle tasse e meno burocrazia se la produzione resterà negli Usa

Vertice Trump-Marchionne: "Ambientalisti fuori controllo"

Tutti allineati con il «Trump-pensiero» i tre leader delle Case automobilistiche Usa: Mary Barra (General Motors), Mark Fields (Ford Motor Company) e Sergio Marchionne (Fca). Ieri mattina alle 9 il neo presidente degli Stati Uniti ha ricevuto alla Casa Bianca i tre top manager, ai quali ha illustrato il suo piano d'azione incentrato sulla salvaguardia delle produzioni locali e sul loro contestuale potenziamento. «Apprezzo l'intento del presidente di fare degli Stati Uniti un grande luogo dove fare business. Lavoreremo con il presidente Trump e i membri del Congresso per rafforzare l'industria americana», la risposta a caldo di Marchionne, presentatosi al vertice con l'inseparabile pullover nero. «L'industria dell'auto Usa - il commento di Mary Barra - si trova di fronte all'enorme opportunità di lavorare insieme al governo». E il ceo di Ford, Fields, in abito scuro e cravatta: «Apprezzo l'attenzione del presidente nel rendere gli Stati Uniti un luogo ideale per fare affari. Non vediamo l'ora di lavorare con il presidente Trump e i membri del Congresso per rafforzare l'industria manifatturiera americana». Insomma, uno per tutti e tutti per uno.

Da Donald Trump sono arrivate promesse di riduzione delle tasse e sburocratizzazione del sistema allo scopo di rendere l'ambiente favorevole al business. Inoltre, il neo presidente ha rimarcato la sua posizione polemica verso le questioni green e gli eccessi regolatori nel Paese. «È assolutamente pazzesco - ha stigmatizzato -; l'ambientalismo è fuori controllo, seppure io in larga misura sia un ambientalista». Una posizione, questa, che potrebbe far comodo a Fca sotto accusa da parte dell'Agenzia per l'ambiente, per un presunto «Dieselgate bis». In proposito, il silenzio di questi giorni sulla vicenda può essere spiegato con il tempo richiesto per esaminare le risposte di Fca all'Epa.

Trump promette, ma in cambio di una serie di benefici pretende che le industrie dell'auto Usa giurino fedeltà al Paese e chiudano con le delocalizzazioni. «Voglio nuovi impianti costruiti qui, per auto che sono vendute qui», ha ribadito a Barra, Fields e Marchionne. I tre top manager si sono presentati alla Casa Bianca forti dei recenti annunci di nuovi investimenti in Nord America. Fca riverserà un miliardo di dollari in due fabbriche e ha stimato in 2mila i nuovi posti di lavoro. Nel complesso, Fca Usa ha destinato più di 9,6 miliardi di investimenti negli impianti produttivi Usa, per un totale di 25mila nuovi occupati dal 2009 a oggi. Ford ha invece annullato l'investimento di 1,6 miliardi in Messico, destinando 700 milioni a un sito nel Michigan, mentre Gm è tornata sui propri passi rispetto al piano da 5 miliardi a favore del polo centroamericano. Lo spettro di dazi pari al 35% sulle importazioni dal Messico ha costretto le «Big Three» a rivedere le strategie produttive. Trump, infatti, ha dimostrato di essere fermo sulle proprie idee, a partire dall'abbandono del patto di libero scambio Tpp con l'Asia, per poi voler ridiscutere in chiave Usa l'accordo Nafta (i rapporti commerciali con Canada e Messico). Analisti e osservatori Usa si chiedono intanto come tutti questi investimenti che Trump vuole portare sugli Usa, tra nuove siti e il recupero anche di quelli dismessi, possano effettivamente giovare al Paese. Se, cioè, il mercato sarà in grado di assorbire tutti i nuovi prodotti, soprattutto alla luce dei blocchi alle importazioni dall'Asia, cioè di veicoli notoriamente meno cari. Guardando alle tre Case nazionali, Trump potrebbe invece barattare l'importazione di prodotti dall'Europa (per esempio le Jeep Renegade dall'Italia) con un prefissato numero di veicoli sfornati negli Usa. La partita è ancora aperta. La Borsa di Milano è comunque fiduciosa: il titolo Fca si è tornato sopra i 10 euro (10,12) con un balzo del 5,9%.

Infine, ecco le risposte di Trump a Barack Obama, che, a fine mandato, aveva introdotto una serie di nuovi provvedimenti. Il neo presidente ha sovvertito altri punti fermi del predecessore, dando l'ok a due grandi oleodotti: il Keystone XL, che trasporta il greggio dal Canada al Golfo del Messico, e il Dakota Access, che collega Nord Dakota e Illinois.

L'oleodotto passa vicino a zone considerate sacre dalla tribù indiana dei Sioux e aveva innescato violente proteste.

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