Coronavirus

Vi spiego perché ho paragonato il Covid all'influenza

Egregio direttore, mi è giunto, come un fulmine a ciel sereno, il suo articolo del 16 aprile. Mi farebbe piacere, avere la possibilità di fare chiarezza al fine di correggere alcune sue affermazioni e deduzioni

Vi spiego perché ho paragonato il Covid all'influenza

Egregio direttore, mi è giunto, come un fulmine a ciel sereno, il suo articolo del 16 aprile. Mi farebbe piacere, avere la possibilità di fare chiarezza al fine di correggere alcune sue affermazioni e deduzioni.

Mi descrive «La prima firma scientifica del Fatto Quotidiano», nonché la sua Musa, lasciando intendere di aver indossato una maglietta politica. Sono e rimarrò sempre una voce libera e non indosserò mai nessun distintivo o maglietta. Nel suo articolo, in un'unica frase, lei unisce due mie dichiarazioni che sono state fatte in contesti e tempi diversi. La prima: «Succede che noi stiamo facendo uno screening a tappeto, è logico perciò che andiamo a intercettare numerose positività, ma la maggior parte di queste persone ha banali sintomi influenzali». La seconda: «Si è scambiata un'infezione appena più seria di un'influenza per una pandemia letale», ripresa dalla diffida inviata ai media e mai a me (da qui un palese scopo diffamatorio) dal Patto Trasversale per la Scienza.

Tali concetti erano stati preceduti dalle affermazioni di Burioni a Che Tempo che fa («Pericolo zero per l'Italia») e con termini ancora più rassicuranti da Lopalco (firmatario della diffida) a La7 il 27 febbraio: «L'85% sono casi lievi, come un'influenza classica». Concetto confermato da altri colleghi (Pregliasco, Galli, Capua).

Per maggiore chiarezza la prima frase incriminata è un mio post privato su Facebook: «È una follia questa emergenza, si è scambiata un'infezione appena più seria di un'influenza per una pandemia letale» (23.2.2020). Lo scopo era spegnere il panico crescente mentre, ricordo, in Italia si registravano solo i primi casi autoctoni circoscritti a Codogno. Ecco cosa affermavano altre accreditate fonti. Il 25 febbraio 2020 il presidente della Regione Lombardia Attilio Fontana dichiarava: «Cerchiamo di sdrammatizzare: questa è una situazione senza dubbio difficile ma non così tanto pericolosa. Il virus è aggressivo e particolarmente rapido nella diffusione, ma nelle conseguenze molto meno, è poco più di una normale influenza». Il Consiglio Nazionale delle Ricerche sottolineava: «Per evitare eccessivo allarmismo è bene ricordare innanzitutto che 19 casi su una popolazione di 60 milioni di abitanti rendono comunque il rischio di infezione molto basso».

Il virologo Fabrizio Pregliasco precisava il 23 febbraio: «È una malattia che rientra nelle cosiddette infezioni respiratorie acute che fanno da corollario all'influenza in ogni inverno». E il 24 febbraio Ilaria Capua rassicurava: «Il Coronavirus circolerà per mesi, ma niente allarmismo ingiustificato, bisogna chiamarla sindrome similinfluenzale da Coronavirus. Questo è l'unico modo in cui possiamo liberarci dal panico» (dal sito Il Bo Live).

Poi c'è la seconda frase: «Non voglio sminuire il coronavirus, ma la sua problematica rimane appena superiore al l'influenza stagionale». Frase estrapolata dalla disamina dei dati pubblicati dall'Istituto Superiore della Sanità sulle influenze, da cui deducevo che «non deve preoccuparci la letalità, ma la velocità di diffusione» e precisavo: «L'emergenza potrebbe avere pesanti ripercussioni sul sistema sanitario».

Spero che quanto riportato sia sufficiente a far sì che non mi reputi, per il ruolo che rivesto, un pericolo pubblico, come ha scritto, ma mi consideri una virologa che in questo momento si sta impegnando per la salute di tutti, ultimamente con sforzi immensi, anche sacrificando la vanità, irresistibile per alcuni colleghi, della visibilità mediatica.

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