E all'improvviso veniva a cena Arafat, che girava sempre con un esercito, così toccava ributtare la pasta per quaranta persone. Poi arrivava Lucio Dalla, Bobo tirava fuori la chitarra, e tutti insieme a cantare Piazza Grande e Milano. E quando sbarcavano i pittori, come Deanna Frosini e Andrea Picini, Bettino riprendeva i pennelli in mano. Porte aperte a route El Fawara, poche formalità, invitati di vario tipo. Ogni tanto si andava a mangiare chez Achour, al fresco sotto l'eucalipto. Oppure allo spettacolino folcloristico con la danza del ventre: qualche volta, spinta dai ragazzi, la ballerina lo invitava a salire sul palco. «Lui stava al gioco e dimenava le anche. Si divertiva e noi ridevamo come pazzi». Sì, va bene, il sole, il mare, il capanno sulla sabbia, i tuffi a bomba, il gelato nella medina, le gite in auto alla grande moschea di Kairuoan con quaranta gradi all'ombra, la spiaggia deserta. Tutto quello che volete, ma per i bambini all'inizio è stata dura. Il papà, un uomo alto e grande con un pareo a fiori legato in vita, parlava, scherzava, inventava giochi e passatempi, però per loro, senza coetanei in quel pezzo d'Africa, tre mesi non passavano mai. «Tutti i giorni - racconta Stefania Craxi - Bobo ed io andavamo all'hotel Sheraton a curiosare tra le valigie nella hall per vedere se c'era qualche italiano. Niente. E le vacanze erano come una punizione. Avevamo cinque o sei anni, all'epoca non era previsto invitare gli amici». Poi, crescendo, la situazione è cambiata. «A quindici anni la libertà. Aspettavo mezzanotte, salutavo e facevo finta di andare a dormire. Invece scappavo di casa per andare a ballare. Nulla di speciale, giusto quattro salti al Cafe Maure con un gruppetto di amici un po' più grandi di me. Mio padre non l'ha mai saputo. Per fortuna, perché era gelosissimo».
Vecchie foto, immagini di estati felici ad Hammamet, prima dell'esilio. Bettino Craxi l'aveva scoperta per caso, ne aveva sentito parlare all'inizio degli anni Sessanta durante un vertice dell'Internazionale socialista. Un borgo pittoresco di tremila abitanti, economico, a un'ora di volo da Roma. Il paesino era tutto dentro le mura del castello e sul lungomare, oltre allo Sheraton, c'era soltanto un alberghetto coloniale. I terreni costavano pochissimo, così nel 1966 ne comprò uno ai mezzi con Spartaco Vannoni, proprietario dell'hotel Raphael, proprio dietro piazza Navona, quartiere generale di Craxi a Roma. Peccato solo che a un certo punto i tunisini decisero di cambiare le norme e di proibire agli stranieri di costruire sul mare. La terra fu espropriata. In cambio il futuro segretario del Psi e presidente del Consiglio ne ottenne un'altra, grande il doppio, ma all'interno, lontana dalla spiaggia, sulla collina che domina la città. «Era un luogo sperduto, in mezzo ai campi e ai serpenti - spiega Stefania, oggi senatrice di Forza Italia - ci si arrivava solo con una stradaccia sterrata, polverosa e piena di buche. Siccome i soldi erano finiti, i lavori per costruzione durarono oltre dieci anni».
Yasser Arafat dunque era quasi di casa: dopo la guerra in Libano, l'Olp aveva dovuto lasciare Beirut e aveva trasferito la sua base a Tunisi. «Una volta venne pure Abu Abbas, quello dell'Achille Lauro e di Sigonella. Un ormone, mi fece impressione». I bambini però non erano felici. Craxi se ne accorse. «Cominciò a organizzare dei diversivi. Per distrarci - ricorda Stefania - metteva su delle complicatissime cacce al tesoro. Bigliettini, rebus, poesiole, premi. Inventò la figura di un folletto, un certo Mister Axi, che lasciava in giro lettere, letti disfatti, indicazioni, tracce. Ho conservato un biglietto, scritto in rima: picchi picchi, voi tutti siete nicchi, il tesoro è qui a due passi e voi cercate solo sassi, il tesoro milioni e rotti, lo trovate in via Condotti». Un'estate lei si ammalò. «Ero a letto con la febbre, papà andò al mercato di Hammamet, che all'epoca era un vero suk arabo e non lo shopping center di oggi, e ritornò con un asinello in regalo. Lo tenevo in giardino e ogni mattina di davo il biberon. Lui ragliava a tutte le ore e io ero davvero felice». Oltre a giocare con figli, Bettino nuotava, camminava sulla riva e leggeva: Vittorio se lo ricorda sempre con un libro in mano. E poi, le passeggiate per Hammamet. La mattina andava sempre al mercato del pesce, nel pomeriggio visitava il suk. La sera, quando non usciva, guardava film nella piccola sala video che aveva attrezzato o lavorava nello studio pieno di cimeli garibaldini. Spesso andava a trovare Giuseppe Patroni Griffi, che aveva casa nella medina, o andava a cena alla Scala, da Eddie, che aveva ribattezzato «il mafiosetto». Molte visite, pochi contatti con la Roma politica: i telefoni cellulari non erano stati ancora inventati e una volta sulla spiaggia il leader socialista era fuori dal mondo. C'erano solo la sabbia, il mare e un piccolo capanno, dove lo si poteva incontrare con Caterina Caselli, Ornella Vanoni, Margherita Boniver. Poi a metà agosto arrivava un gruppetto di artisti squattrinati. Picini, negli anni bui dell'esilio, si piazzò per mesi, come racconta Bobo Craxi nel libro scritto con Gianni Pennacchi Route El Fawara, Hammamet. «Andrea rimaneva lunghi periodi in casa, senza mai uscire. Lavorava sul bordo della piscina, al mattino presto scolpiva e aiutava papà nella realizzazione dei vasi, che poi portavano a cuocere in una fornace di Sousse. Si era formato un sodalizio di tipo monastico, si incrociavano poco a causa degli orari. Mio padre lo lasciava fare, evitando però che cucinasse perché sui fornelli Andrea era un disastro». L'ultimo Craxi, in fuga e inseguito da un mandato di cattura, sta per diventare un film, Hammamet, girato da Gianni Amelio nei luoghi tunisini del leader socialista e interpretato da un Pierfrancesco Favino identico all'originale. Bobo ha approvato l'operazione. «I film non devono rendere giustizia, devono raccontare storie. Mio padre, a differenza di quelli di oggi, non era un uomo di spettacolo e infatti questa pellicola racconterà la bella storia di avventura umana e politica di un uomo la cui vita vale la pena raccontare».
Stefania non vuole parlare di quel periodo. «Preferisco ripensare a quando camminava per la medina e tutti lo salutavano. Lui si fermava a parlare con gli artigiani e i pescatori, s'informava, ascoltava i loro problemi. era un curioso dell'umanità. Lo amavano moltissimo». In Tunisia il mito di Bittinu è vivo. Tanti negozi hanno ancora la sua foto esposta. Al ristorante Achour, dove Craxi aveva un tavolo riservato, ricordano che le president ordinava sempre pesce e vino francese. «Una sera eravamo lì a cena quando entrò un bambino che vendeva gelsomini. Aveva 11 anni.
Mio padre glieli comprò tutti, poi gli disse: è quasi mezzanotte, a quest'ora dovresti essere a letto, non devi andare a scuola domani? Il bambino scoppiò a piangere, emozionato. «È la prima volta che qualcuno capisce il senso della mia disperazione, non la mancanza di soldi ma il fatto che, costretto a fare tardi, domani in classe cascherò dal sonno. E non imparerò nulla».Massimiliano Scafi
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