Dietro le quinte del complotto. Magari i congiurati fossero stati all'altezza del loro disegno. E invece no: i Monti e i Napolitano leggono quel lunedì 10 febbraio 2014 le anticipazioni del libro di Alan Friedman e provano a smentire. A sminuire. A buttare la palla in tribuna, sostenendo che non c'è stata alcuna manovra per buttare giù il governo Berlusconi. Sembra impossibile ma nella nuova edizione del suo best seller Ammazziamo il gattopardo, Rizzoli, in libreria oggi, il giornalista svela i retroscena quasi irreali, all'italiana di quel che è accaduto nel backstage in quelle 48 ore vorticosissime. In quei giorni di febbraio in cui irrompe la notizia che il governo Monti non è nato come un fungo, ma era stato preparato da consultazioni e giri di valzer del Quirinale.
Friedman aggiunge due densissimi capitoli inediti, ricostruisce anche la cena al Quirinale fra Napolitano e Renzi che segna la fine del governo guidato da Enrico Letta, a sua volta completamente ignaro di quel che si sta tramando alle sue spalle, e svela pure un gustoso dettaglio che innesca una nuova polemica: dopo l'uscita del pamphlet stranamente il Quirinale avrebbe tolto l'adesione al premio della Fondazione Italia-Usa. «Evidentemente - spiegano a Friedman - al Quirinale non è gradito il fatto che lei sia stato premiato quest'anno e ci hanno punito». Rappresaglie. Che il Quirinale nega con tanto di comunicato: «A tale manifestazione non è mai stato concesso l'Alto patronato o l'adesione da parte del presidente della Repubblica». Scintille.
Un principio di incendio. Come a febbraio. La scoperta del piano andato in scena fra l'estate e l'autunno del 2011 e la sua divulgazione da parte di Friedman provocano reazioni scomposte. La mattina del 10 febbraio, dunque «il presidente della Repubblica è già stato al telefono con il professore della Bocconi, il suo vecchio amico Mario Monti». Stanno concertando una via d'uscita alla situazione imbarazzante in cui si trovano, ma la frenesia e l'ansia non aiutano. «Sembra - nota perfido Friedman - che in quella prima telefonata non avessero ancora capito che c'era anche un video a testimonianza delle rivelazioni, e non solo un articolo di giornale».
Così, sfiorando il ridicolo, partoriscono «l'idea vecchio stile di scrivere una bela lettera di smentita». Che però si rivela difficile. «Qui c'era un video. Qui tutto era già on line». Si può andare contro un video? No, i due finalmente se ne rendono conto. Ma giocano al ribasso. Inventano una nuova specialità nell'infinito catalogo delle sottigliezze tricolori: la nouvelle vague del complotto. Complotto sì ma anche no. Napolitano scrive dunque una lettera al direttore del Corriere . Il presidente «diceva che era tutto fumo. Fumo». Sì, chiacchiere anche se Monti era stato sondato, quasi teleguidato in estate, a giugno, ed era andato pure dall'amico De Benedetti, in Engadina, a chiedere consiglio. Fumo. Peccato, ironizza Friedman, che a Napolitano sia «scappato qualche refuso, qualche nome è mal scritto, c'è un'imprecisione sui fatti relativi allo stato della maggioranza parlamentare nel novembre del 2011. Piccoli errori corretti il giorno seguente, quando il presidente invia una lettera in inglese al Financial Times. Pazienza - chiosa Friedman - era di fretta».
Il Quirinale va di corsa a negare quel che non si può più nascondere. E che l'ex premier Monti aveva confermato pure in una videointervista. Monti si sdoppia. Discute con Napolitano per mettere una toppa a quel che la sua lingua ha rivelato. Intanto, incredibile, la mattina dopo Monti si ritrova con Friedman negli studi di Omnibus , a La 7, e qui il giornalista ci riprova: gli chiede cosa sia successo dietro le quinte.
E Monti, candido candido, conferma: «Napolitano e Monti si sono parlati quel lunedì mattina, almeno così ha riferito Monti durante una pausa pubblicitaria, nello studio di Omnibus». Chissà. Forse la voglia di apparire è più forte della fedeltà alla linea riservata imposta dal Colle.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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