Cronache

Viganò e la casa in Svizzera: "Carlo Maria è un farabutto"

Il vescovo anti-Papa accusato dalla sorella in una telefonata

Viganò e la casa in Svizzera: "Carlo Maria è un farabutto"

Una telefonata tesissima. Una conversazione in cui volano gli stracci e la sorella Rosanna punta il dito contro il fratello Carlo Maria Viganò: l'arcivescovo le ha portato via con l'inganno la casa di San Bernardino in Svizzera, l'ha venduta a sua insaputa, intascando il ricavato. Uno scandalo, l'ennesimo nella saga dei Viganò e di Carlo Maria, presentato qualche anno fa dalla stampa come il grande moralizzatore della Chiesa e ora sotto i riflettori di mezzo mondo per aver chiesto, nientemeno, dalle colonne della Verità le dimissioni di papa Francesco. Ma c'è un lato oscuro nella vita del prelato, presunti magheggi e manovre spericolate sul sontuoso portafoglio della famiglia. Una vicenda quasi incredibile, con denunce incrociate fra fratelli e un grappolo di procedimenti penali e civili che il Giornale per primo aveva svelato nel 2012, quando l'arcivescovo passava per il paladino nella lotta alla corruzione in Vaticano. Ora fra le pieghe di questa interminabile saga, ecco spuntare il nuovo documento. È una telefonata, registrata, datata 28 febbraio 2013. Rosanna chiama il fratello Alberto, uno degli otto Viganò, eredi di una famiglia dell'alta borghesia lombarda attiva nella siderurgia, e lo investe di accuse. A suo tempo, quando i rapporti in famiglia erano buoni, Rosanna aveva intestato a Carlo Maria l'immobile che però, di fatto, era suo. Ora Alberto, sfruttando una procura notarile, l'ha venduto senza dirle nulla. E l'avrebbe fatto sotto la regia dell'onnipotente Carlo Maria, vicegovernatore del Vaticano e poi nunzio negli Usa, ad un passo dal cardinalato, prima di entrare in rotta di collisione con papa Francesco.

Rosanna si sente tradita dai due fratelli e va giù pesante: «Carlo Maria, quello lo sappiamo che è un farabutto». E ancora: «Allora, Alberto esiste un limite, che quando tu sai che le cose sono ingiuste, uno si rifiuta di farle. Che se le faccia lui le sue porcherie, come ha fatto per tutta la vita». Alberto, in grande difficoltà, prova a discolparsi: è vero, lui ha firmato la vendita, ma è stato solo un esecutore, un burattino nelle mani di Carlo Maria: «Non toccava a me. Toccava al Carlo Maria dirlo, non c'entro niente io».

La donna non ne vuol sapere: «Tu sapevi che la casa era mia, vero? Tu lo sapevi che la casa era mia, pagata da me, vero che lo sapevi?» Insomma, utilizzando la connivenza di Alberto e la solidarietà fra fratelli, l'arcivescovo avrebbe «truffato» la sorella. Un capo d'imputazione, se cosi si può definirlo, pesantissimo che si aggiunge alle denunce presentate a suo tempo da Lorenzo, l'altro fratello sacerdote, raffinato studioso delle Sacre scritture che con Carlo Maria ha interrotto ogni rapporto da molti anni. In una durissima intervista al Giornale nel 2013, pochi giorni dopo l'ascesa di Papa Bergoglio, Lorenzo Viganò era stato sferzante: «Mio fratello Carlo Maria mi ha derubato. Ha approfittato della mia malattia», un ictus, «per tagliarmi fuori dalla gestione del nostro e sottolineo nostro patrimonio. Ho scoperto che mio fratello aveva ceduto delle proprietà comuni e mi aveva lasciato le briciole. Gli spiccioli».

Accuse devastanti, in una sorta di Dinasty lombarda sullo sfondo del Cupolone. Ma c'è di più, perché in quella drammatica intervista Lorenzo aveva sganciato un altro siluro: «Mio fratello, quando l'hanno spostato dal Governatorato, ha avuto la faccia tosta di scrivere a Benedetto xvi dicendo che non poteva allontanarsi per stare vicino al sottoscritto gravemente malato. Una menzogna perché con me non ha rapporti da anni». Dunque, Carlo Maria avrebbe giocato una carta falsa pur di non andare negli Usa, dove pure era chiamato a ricoprire un incarico delicatissimo e di primo piano, e rimanere invece fra le mura del Vaticano.

Ora tutte le accuse vanno naturalmente provate. E il groviglio di procedimenti, eterni come la giustizia italiana, non aiuta a separare il grano dal loglio. Ma appare singolare che l'alfiere del rinnovamento, l'uomo che ha suggerito il passo indietro a Francesco, abbia alle spalle questo background torbido e anzi tenebroso, in cui le vicende della Chiesa e quella della famiglia si mescolano. Fra carte bollate e spifferi. In un rapporto con il Papato che sembra già incrinato ai tempi di Ratzinger. Certo, le analisi contenute nel dossier Viganò avranno nel tempo risposte precise, ma intanto appare importante afferrare la caratura del personaggio e il network che lo sostiene.

In una sequela incredibile di colpi bassi, l'arcivescovo arriva nel 2011 a denunciare la sorella Rosanna per circonvenzione d'incapace, incapace che sarebbe naturalmente il solito Lorenzo. Lui sulla penosissima vicenda getta parole di fuoco: «Sono stato costretto a presentarmi davanti a un giudice di Milano che voleva accertare il mio stato psicofisico. Come se fossi un demente o giù di lì». Una questione dolorosissima che torna nella telefonata inedita, ora nella disponibilità del Giornale: «Comunque... che lui abbia venduto la mia casa, non sta nè in cielo nè in terra - insiste Rosanna con Alberto - ha denunciato me per circonvenzione d'incapace, ma dove siamo finiti. Siamo finiti».

Per la cronaca, il giudice di Coira, in Svizzera, non ha voluto valutare, in nome della privacy, la telefonata. E Carlo Maria, come ha raccontato Emiliano Fittipaldi nel suo libro Avarizia, ha chiuso il contenzioso con una transazione da 180mila franchi in favore della sorella.

Ma senza riconoscere alcuna responsabilità.

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