Vincono i taxisti, Uber Pop è «sleale»

Primo round agli autisti pubblici. Per il giudice è illegittimo improvvisare un servizio di trasporto

MilanoConcorrenza sleale. I tassisti vincono il primo round della sfida con Uber Pop , l'applicazione che consente a chiunque di improvvisarsi autista e che in diverse città italiane fornisce un trasporto a prezzi più contenuti rispetto alle auto bianche. Il servizio, stabilisce ora il Tribunale di Milano accogliendo il ricorso delle associazioni di tassisti, è illegittimo. Perché - spiega il giudice nell'ordinanza con cui blocca la app su tutto il territorio nazionale - quella tra taxi e Uber è una battaglia ad armi impari.

Ed è innanzitutto una questione di costi. Se i tassisti devono sostenere spese per la licenza, per l'acquisto di un veicolo «univocamente dedicato all'uso di terzi», per l'«installazione dei i tassametri», per la «stipulazione di contratti assicurativi di importi e garanzie ben superiore a un contratto di assicurazione per veicolo destinato a uno proprio», per associarsi alle cooperative di settore e per acquistare strumenti con cui collegarsi alla centrale radiotaxi, a Uber pop basta un clic sul telefonino. E così, spiega il giudice Claudio Marangoni, è fin troppo facile applicare «tariffe sensibilmente minori rispetto al servizio pubblico e non praticabili» dai tassisti.

Ed è falso - come sostenuto dalla società di San Francisco - che la app favorisca semplicemente «forme di trasporto condiviso», così da «abbattere i costi di impiego dell'auto e ridurre l'inquinamento». Per intendersi, quello che accade con car sharing e ride sharing . Al contrario, il servizio sembra «stimolare l'uso di mezzi privati senza che rispetto a tale uso possano essere poste in essere misure di programmazione della mobilità». E nemmeno è verosimile - insiste i giudice - che l'applicazione sia rivolta ad una community ristretta che installando Uber Pop sul cellulare «non utilizzerebbe in nessun caso il servizio taxi». Invece, si legge ancora nell'ordinanza, il servizio è organizzato «in maniera del tutto analoga» a quello «svolto da titolari di licenze taxi». Morale (severissima): se prima della app «i soggetti privi di licenza avevano un circoscritto perimetro di attività e di possibilità di contatto con gli utenti», Uber Pop ha determinato «un salto di qualità nell'incrementare e sviluppare il fenomeno dell'abusivismo». Dunque, «l'applicazione informatica ha di fatto consentito la nascita o comunque un improvviso ed esteso ampliamento di comportamenti non consentiti» dalla legge, e «la sua predisposizione e utilizzazione apporta un contributo essenziale e insostituibile allo sviluppo di condotte illecite, idonee a incidere sul mercato in danno» dei tassisti.

«Faremo appello per evitare che centinaia di migliaia di cittadini italiani siano privati di una soluzione sicura, affidabile e economica per muoversi nelle loro città», commenta Zac De Kievit, legal director di Uber Europa. Ma l'ordinanza del Tribunale - la cui urgenza è giustificata anche da «un'imminente ulteriore estensione» della app ad altre città italiane, e alla presenza a Milano di un «consistente numero di visitatori» in occasione di Expo - divide politica e associazione dei consumatori.

Dal Codacons («La sentenza è un danno enorme per gli utenti») alla Confcommercio («Il ministero affronti una riforma che coinvolge tassisti, Ncc e intermediari del trasporto»), dal leader leghista Matteo Salvini («Occorrono parità di diritti e doveri, concorrenza leale e non sleale»), al deputato Dem Sergio Boccadutri («La mobilità sta cambiando nel mondo, una sentenza non potrà bloccare questo processo»).

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