Cronache

Ma il virtuale non vale quanto il reale

Ma il virtuale non vale quanto il reale

Il ricercatore britannico Tim Berners-Lee ebbe 25 anni fa la generosa idea di mettere a disposizione di tutti, non solo a una ristretta comunità di ricercatori, l'accesso al web. Poteva anche risparmiarsi tanta generosità. Si viveva tanto male 25 anni fa? No, si stava, forse, meglio: i vantaggi che abbiamo ricevuto sono di ordine pratico e funzionale. Tutto più veloce: ce n'era bisogno? Certamente ci siamo ritrovati con due grandi disastri. Il primo è la globalizzazione, il secondo è la drastica riduzione del mondo d'esperienza surrogato da una virtualità contagiosa.

La globalizzazione è un fenomeno economico e politico, reso possibile dalla velocità e dall'efficienza della rete di comunicazione mondiale che conosciamo oggi. Sono state sradicate le specificità culturali dei popoli, sempre più omologati a un unico modello di sviluppo che ha reso più ricchi i ricchi e più poveri i poveri. Sono sparite le tradizioni delle genti, distrutte le identità urbane: si costruiscono grattacieli uguali ovunque; un artista cinese fa le stesse cose di un suo collega statunitense, quando la creatività artistica era il principio stesso per riconoscere la storia di un popolo.

Si perde il rapporto concreto e vitale con l'esperienza: anche le emozioni d'amore navigano per il web. Un giovane non sa più cosa sia una biblioteca; le sue ricerche le fa con Wikipedia senza neppure avere il dubbio delle sciocchezze che ci possono essere scritte. Non parliamo, poi, delle relazioni d'amicizia che si svolgono via cellulare.

D'accordo, indietro non si torna, e la nostalgia è un sentimento patetico, ma un po' di sana diffidenza verso il web bisogna che qualcuno la insegni ai nostri giovani: se non altro ritroverebbero il valore di quell'educazione sentimentale che fa conoscere le relazioni affettive attraverso la vita vera e non quella virtuale del web.

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