Coronavirus

Virus, ora l'Oms ci ripensa: "Il rischio di contagio è alto"

Mea culpa dell'Agenzia della sanità: pericoli sottovalutati Lo studio: l'epidemia non è partita dal mercato di Wuhan

Virus, ora l'Oms ci ripensa: "Il rischio di contagio è alto"

Il contagio del virus della polmonite virale continua ad estendersi, e crescono contemporaneamente la preoccupazione per una sua diffusione in tutto il mondo e il timore che la Cina, dove la malattia ha avuto origine il mese scorso, stia nascondendo le reali dimensioni del pericolo e forse anche la verità sulla sua natura. Ieri l'Organizzazione mondiale della Sanità (Oms) ha corretto le proprie stesse affermazioni di due, tre e quattro giorni prima, ammettendo di aver sottostimato nei suoi rapporti precedenti il livello di rischio legato al coronavirus cinese: adesso il rischio non viene più definito«moderato», ma «molto alto in Cina, alto a livello regionale e alto a livello globale».

L'agenzia specializzata dell'Onu il cui direttore generale Tedros Ghebreyesus è partito per Pechino - non precisa le ragioni della correzione, ma è un fatto che esiste una fortissima discrepanza tra le cifre fornite ufficialmente dalle autorità di Pechino, che ancora ieri parlava di meno di tremila contagi accertati e 81 morti, e quelle stimate da esperti internazionali. Un rispettato virologo di Hong Kong, dove è stato proclamato lo stato di emergenza sanitaria, ha detto di ritenere che a oggi gli ammalati siano in realtà «più di quarantamila», mentre il professor Neil Ferguson dell'Imperial College di Londra, citato dal Guardian, afferma che a suo avviso nella migliore delle ipotesi i contagiati dovrebbero già essere centomila in tutto il mondo. In Italia, il virologo professor Roberto Burioni ha dichiarato a TgCom24 il cui direttore Paolo Liguori ha rivelato nei giorni scorsi che fonti d'intelligence internazionale ritengono che la vera origine del virus 2019-nCoV sia un laboratorio di Wuhan dove si lavora alla guerra batteriologica che anche a suo avviso il numero dei casi sia sottostimato.

La diffusione di queste notizie sta provocando irritazione nel governo di Pechino. Ieri un portavoce dell'ambasciata cinese in Italia ha smentito le informazioni relative al laboratorio militare come «tirate fuori dal nulla e completamente false».

Secondo il diplomatico, il fatto che il centro cinese per la prevenzione delle patologie abbia chiarito che il nuovo coronavirus abbia una somiglianza oltre l'85% con quello della Sars che uccise quasi mille persone in Cina nel 2003 indica «l'altissima probabilità che il contagio sia partito da animali selvatici».

Proprio ieri, però, l'autorevole rivista scientifica The Lancet ha pubblicato una ricostruzione dell'epidemia effettuata da un gruppo di scienziati cinesi, secondo cui la diffusione del coronavirus potrebbe non essere partita dal mercato del pesce di Wuhan, come invece era stato fin qui sostenuto. Lo studio riguarda i primi 41 pazienti ricoverati con sintomi confermati e riconducibili al 2019-nCoV, e dimostra due punti importanti: che il primo caso (registrato il 1° dicembre scorso) non ha evidenziato alcun nesso con il mercato del pesce, e che nessun legame epidemiologico è stato riscontrato tra questo primo paziente e i casi successivi; inoltre, ben 13 dei 41 casi studiati non avevano alcun collegamento con il già citato mercato. Il clima in Cina, alimentato dalla propaganda ufficiale, è sempre più quello della grande prova cui è chiamata la nazione in pericolo. Il governo ha stanziato 60 miliardi di yuan (quasi 8 miliardi di euro) per fronteggiare l'emergenza. A Wuhan, dove le strutture sanitarie sono allo stremo e dove continuano ad affluire da tutto il Paese medici e infermieri specializzati, sono stati destinati 300 milioni di yuan per nuove attrezzature necessarie anche ai due ospedali in rapida costruzione.

Il presidente Donald Trump ha offerto a Pechino l'aiuto americano, assicurando che i contatti tra i due Paesi sull'epidemia sono molto stretti.

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