Referendum sulle Autonomie

La voce diventerà coro: si cerca l'effetto domino

La voce diventerà coro: si cerca l'effetto domino

Nel 2001, quando è stato costituzionalizzato il principio del «regionalismo differenziato» non era stata ancora studiata l'applicazione del residuo fiscale. Come noto, si tratta della differenza fra i trasferimenti da un territorio verso lo Stato centrale e quanto torna indietro su quel territorio sotto forma di risorse e servizi. Il principio fu teorizzato dal premio Nobel per l'economia James Buchanan sin dagli anni '50. Ma trovò una sua applicazione alla realtà italiana solamente nei dintorni del 2010. Si spiega così il fatto che l'unico parametro assunto dalla Costituzione repubblicana per determinare la virtuosità di una Regione sia il pareggio di bilancio.

Ai nostri giorni, tuttavia, non è più possibile eludere la graduatoria del residuo fiscale delle singole regioni, che ne certifica la virtuosità e il rendimento istituzionale. E che vede al comando in perfetta solitudine e con 56 miliardi di euro la Lombardia, seguita a ragguardevole distanza da Emilia-Romagna e Veneto pressoché appaiate in prossimità dei 18 miliardi. Troviamo poi il Piemonte, la Toscana, l'Umbria, le Marche e la Liguria. Sono tutte queste le regioni che hanno un rapporto di natura creditizia con lo Stato centrale.

Il segreto della graduatoria risiede nel fatto che la somma del residuo delle sette regioni che seguono la Lombardia ammonta al residuo lombardo. Ciò certifica che la vessazione fiscale cui è soggetta la Lombardia è davvero incredibile e pesantissima. Soprattutto, non ha pari in Europa e nel mondo. Da anni la letteratura scientifica sottolinea come la vessazione fiscale che si abbatte sulla Regione fa emergere e definisce un rapporto fra lo Stato centrale e la Lombardia davvero profondamente iniquo. Proprio per ciò, il residuo lombardo non può che essere una questione nazionale, da rifondare su nuove basi. Da un lato il residuo fiscale, dall'altro il consenso popolare per impostare il rapporto con lo Stato centrale sul piano contrattuale e pattizio, cioè sul principio del contratto-scambio teorizzato da Miglio. Sono queste due, infatti, le leve privilegiate da utilizzare nella trattativa con lo Stato centrale. Alle Regioni virtuose, la Costituzione repubblicana, grazie alla revisione del Titolo V del 2001, offre l'opportunità di accedere a margini maggiori di autonomia, intavolando una trattativa con lo Stato. Il principio di premiare la virtuosità con maggiori competenze e risorse è sacrosanto. Il ricorso al metodo della trattativa rappresenta il punto critico di quella norma, che in 16 anni non ha mai funzionato. Ci hanno provato quattro Regioni per cinque volte: la Toscana nel 2003, il Piemonte nel 2006, la Lombardia e il Veneto nel 2007, il Piemonte di nuovo nel 2008. Nessuna di queste Regioni è mai riuscita a strappare competenze e risorse allo Stato centrale, pur avendone tutti i diritti, secondo la Costituzione.

Da qui l'idea di collocare a monte del negoziato con il governo un referendum consultivo territoriale finalizzato a ottenere un mandato politico forte per aprire la trattativa. Perché con il consenso della gente come diceva Gianfranco Miglio «si può fare di tutto». Si può anche ottenere l'autonomia della Lombardia, ricorrendo all'istituto mai praticato del regionalismo differenziato. Si tratta di una parte inattuata della Costituzione. Il referendum lombardo che si configura pertanto come un atto di responsabilità istituzionale e di lealtà costituzionale potrebbe farlo davvero funzionare, innescando una sorta di effetto domino. Dopo Lombardia e Veneto, anche Emilia-Romagna, Piemonte e Toscana, sono pronte per rivendicare quei margini di autonomia richiesti dal territorio e necessari allo scopo di innescare importanti processi di sviluppo. Non è remota l'ipotesi di approdare così alla riorganizzazione complessiva del regionalismo, premiando con una maggiore autonomia, coerente con la fisionomia territoriale, quelle realtà virtuose in cui dal 1970 in qua ha funzionato perché ha garantito diritti e tutele crescenti ai cittadini. E dunque ha rafforzato la qualità della democrazia concretamente praticata. Realtà virtuose che hanno dimostrato di utilizzare le risorse secondo criteri di elevata redditività e alta produttività. Sarà una rivoluzione copernicana.

di Stefano Bruno Galli
politologo e capogruppo Lista Maroni

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