Politica

Il voto del 4 marzo? Terremoto come Brexit

Il voto del 4 marzo? Terremoto come Brexit

Proposta: perché non chiamiamo «Brexit Italia» il voto del 4 marzo? Non è un caso che Merkel e Macron, incontrandosi all'Eliseo, abbiano messo sullo stesso piano i contraccolpi Ue delle elezioni italiane con quelli provocati dal referendum che decretò l'uscita di Londra dal club di Bruxelles. Frau Angela e il rampante Emmanuel vedono nuvoloni neri addensarsi sui cieli d'Europa per colpa del doppio terremoto anglo-italiano: siamo precipitati in un nuovo mondo e tutti gli schemi conosciuti sono saltati. Pessimismo eccessivo o sano realismo? In effetti, anche in passato soprattutto la cancelliera di ferro aveva espresso timori sul Vecchio continente e sull'Italia in particolare, preoccupazioni che sovente si sono, poi, rivelate esagerate. Verrebbe pure da chiedersi da che pulpito venga oggi la predica considerando che la Germania è reduce da mesi e mesi di grandissima incertezza politica dopo le elezioni. Ma credo che, stavolta, i timori dei nostri partner siano fondati: la Merkel ha indossato troppo spesso i panni della maestrina (come dimenticare il suo duetto con Sarkozy per ridicolizzare Berlusconi?) ma oggi non esiste solo il rischio-paralisi dell'Italia senza una maggioranza politica certa, perché c'è anche lo «scetticismo continentale» di Lega e M5s, i vincitori delle urne.

Ho, quindi, sondato due italiani che, più di altri, hanno scalato le gerarchie Ue: Antonio Tajani, presidente in carica del Parlamento di Strasburgo, e Romano Prodi, già numero uno della Commissione europea. Il primo non ha dubbi: «Mi preoccupa il disinteresse di troppi per il destino dell'Italia con tanti politici che privilegiano il proprio orticello: prendere voti sembra più importante della soluzione dei problemi del Paese». Tajani non vede vie d'uscita. «La politica - ribadisce - deve compiere scelte coraggiose per riavvicinare le istituzioni ai cittadini». In tal senso, a suo parere, i risultati elettorali potrebbero avere un effetto positivo: invece che di effetto-boomerang, si dovrebbe allora parlare di forza trainante, nonostante tutto, del Belpaese. Speriamo bene.

Più pessimista appare, invece, Romano Prodi che ho incontrato alla stazione di Bologna mentre prendeva il treno per Roma. Il Professore allarga le braccia: «Cosa ne penso del 4 marzo? È stata una specie di grandinata». Insomma un fatto ineluttabile, quasi un terremoto che sconvolge qualsiasi cosa, rapporti con l'Europa compresi: uno, insomma, può essere pronto a tutto, ma ai cataclismi della natura no. C'è incredulità nelle parole di Prodi: al di là della sconfitta del Pd, è davvero cambiato lo scenario.

E aggiunge: la sua generazione avrà avuto tanti difetti, ma tanto di cappello come preparazione politica, soprattutto quando qualcuno approdava a Bruxelles. Oggi appare tutto improvvisato: ad esempio, la voce in Europa di un eventuale premier ex steward al San Paolo di Napoli avrà davvero la possibilità di contare?

Commenti