Non è un caso se il tam tam che rimbalza in queste ore dal Nazareno ripeta come un mantra che «quello in Sicilia sarà un voto locale e senza alcuna valenza nazionale». Nel giorno in cui Matteo Renzi sbarca a Palermo per l'ennesima presentazione del suo libro, infatti, è sempre più evidente che le elezioni che si terranno sull'isola a novembre rischiano invece di essere l'esatto contrario di quello che teorizzano nell'entourage del segretario del Pd. E cioè un test decisivo in vista delle politiche del 2018.
Le ragioni sono diverse. Intanto andranno alle urne cinque milioni di italiani, rendendo dunque il test abbastanza corposo anche perché l'elettorato è ben assortito tra centrosinistra (la regione è governata dal dem Rosario Crocetta), centrodestra e grillini. Senza considerare che sarà proprio in Sicilia che si sonderà concretamente la tenuta del centro, un'area moderata che sull'isola è rappresentata da sette partiti diversi e quantificata in circa 600mila voti. Che dunque saranno decisivi per la corsa a Palazzo dei Normanni in autunno e che potrebbero essere strategici anche alle politiche in primavera. Ma il ricasco nazionale delle elezioni siciliane è dato anche da altri due fattori. Il primo è che le politiche saranno solo qualche mese più tardi e l'effetto trascinamento è qualcosa di più di un'eventualità. Non è un caso che Silvio Berlusconi si stia spendendo molto per portare a casa un candidato che possa vincere (tanto da avallare un confronto a livello locale con Angelino Alfano), proprio nella convinzione che una vittoria sull'isola potrebbe tirare la volata alle politiche. D'altra parte, non è una novità che il voto tenda a spostarsi su quello che è considerato il potenziale vincitore.
Il secondo fattore che poi è quello che più preoccupa Renzi è il fatto che un'eventuale sconfitta del Pd potrebbe far saltare i delicati e già precari equilibri interni al partito. Con il rischio che in piena campagna elettorale e a pochi mesi dalle liste elettorali sia apra la resa dei conti ai vertici dem, visto che non è un mistero il fatto che sia Dario Franceschini che Andrea Orlando stiano spingendo per una gestione «più collegiale» del Pd. Senza considerare che in un simile scenario la minoranza tornerebbe a spingere per una modifica alla legge elettorale che preveda un premio di coalizione.
Ci sta, dunque, che Renzi abbia deciso di mettere le mani avanti con un certo anticipo, provando a sminare una sconfitta che al momento è data come piuttosto probabile. La lezione referendaria, evidentemente, è servita.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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