Il vulcano Agung fa paura Bali con il fiato sospeso teme un nuovo Krakatoa

Centomila evacuati, aeroporto chiuso e rischio eruzione nell'isola. Il precedente del 1883

Roberto Fabbri

Centomila evacuati, aeroporto chiuso con conseguente blocco di quasi sessantamila tra turisti stranieri e residenti, rischio di esplosione imminente per il vulcano Agung che non eruttava lava da oltre mezzo secolo. È massima allerta sull'isola di Bali, perla dell'Indonesia e fiore all'occhiello dell'arcipelago del Sud-est asiatico.

Agung si trova nella parte orientale di Bali, lontano dalle principali attrazioni turistiche, ma il rischio immediato è rappresentato dalle ceneri vulcaniche diffuse nell'aria con l'eruzione già nei giorni scorsi (tanto che le autorità hanno raccomandato l'uso di mascherine protettive) mentre quello incombente riguarda la possibilità di un'eruzione ben più potente che avrebbe le caratteristiche di un'esplosione, un po' come (per fortuna in scala minore) quella che squarciò il Krakatoa nel 1883 provocando tsunami a ripetizione che uccisero 36mila persone.

Anche se secondo alcuni esperti esiste la possibilità che l'eruzione dell'Agung si prolunghi per mesi trasformandosi in un evento a intensità variabili, quello del Krakatoa è un incubo sempre presente nella memoria storica degli indonesiani. Preceduta da mesi di violenti tremori e di emissioni di ceneri, l'eruzione esplosiva del 26 agosto 1883 ebbe due fasi: dapprima proiettò nell'atmosfera una nuvola nera che si innalzò addirittura per 25 chilometri, mentre una serie di maremoti nelle vicinanze dell'isola vulcanica (fortunatamente disabitata) investiva con onde altissime le coste di Sumatra e di Giava. Sembrava che il peggio fosse passato, ma non era così: alcune ore dopo l'isola, letteralmente, esplose con uno spaventoso boato che fu udito a migliaia di chilometri di distanza, fino in Australia e in lontani Paesi asiatici. Il cono vulcanico, alto mille metri, scomparve e tutta l'Indonesia piombò nel buio in pieno giorno, scossa da una sequenza di maremoti che provocarono i famigerati tsunami con danni immensi nelle isole vicine.

La tragedia del Krakatoa è impresa a caratteri cubitali nella storia della vulcanologia, ma anche della meteorologia, perché l'enorme quantità di ceneri proiettate nell'atmosfera provocò effetti importanti sul clima dell'intero pianeta: la temperatura media annua scese di circa un grado e si calcolò che l'indice di trasparenza atmosferica si ridusse di oltre il 20% dopo che in un paio di settimane le ceneri fecero il giro della Terra. Vi fu anche una conseguenza pittoresca del disastro naturale: per molti mesi le polveri colorarono i tramonti di un rosso intenso in tutto il mondo.

L'esplosione del Krakatoa era stata preceduta da un altro evento terrificante occorso su un'isola indonesiana: l'esplosione del vulcano Tambora, forse la più violenta nel mondo degli ultimi millenni. Avvenuta nell'aprile 1815, provocò effetti simili a quella del Krakatoa: quasi la metà del cono vulcanico alto circa 4000 metri fu proiettata nell'atmosfera, oscurando il cielo dell'Indonesia con i suoi detriti.

Ma le ricadute interessarono perfino l'Europa e parte degli Stati Uniti, dove il 1816 passò alla storia come «l'anno senza estate», con ondate di freddo e nevicate fuori stagione. Solo un secolo dopo gli scienziati compresero il nesso diretto tra l'esplosione del Tambora e quello straordinario evento meteo.

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