Woodcock, solito flop Il fango su Finmeccanica ci è costato 5 miliardi
Napoli, crolla il teorema dei pm. Anche Scajola prosciolto, niente mazzette per le fregate in Brasile. Ma l'affare sfumò
Napoli, crolla il teorema dei pm. Anche Scajola prosciolto, niente mazzette per le fregate in Brasile. Ma l'affare sfumò

Un flop giudiziario. E un altro colpo al made in Italy. Claudio Scajola non incassò tangenti milionarie sulle fregate lanciamissili destinate al Brasile. In compenso un'operazione da 5 miliardi di euro in totale è sfumata e il nostro Paese ha perso una ghiotta opportunità. Finmeccanica e Fincantieri hanno dovuto fare un passo indietro, altri colossi hanno preso il loro posto, ormai libero. Tutto per via di quell'inchiesta nata nel 2012 fra squilli di tromba. Si ipotizzava che la grande commessa navale sull'asse fra Roma e Brasilia si fosse portata dietro un fiume di denaro. I pm di Napoli Vincenzo Piscitelli e Henry John Woodcock erano andati giù con mano pesante, presentando il presunto scandalo con parole definitive: «Questa è la madre di tutte le inchieste per corruzione internazionale». L'accordo saltò, l'indagine è andata avanti ma si è arenata. E alla fine i pm hanno alzato bandiera bianca, chiedendo il proscioglimento di tutti gli imputati, tra cui manager e dirigenti del gruppo. Il gip, come ha raccontato ieri il Garantista , ha messo il suo sigillo sul fallimento. E Scajola ha rispolverato una sua nota del 2012, scritta subito dopo aver scoperto di essere finito nel mirino della procura: «Quell'intervento» a favore di Fincantieri «l'ho fatto. L'ho fatto con tutte le nostre imprese: grandi, medie, piccole». Ma nessuna mazzetta, sia chiaro. «È stato il mio lavoro per due mandati, ne sono orgoglioso. L'export è quello che tiene in piedi la nostra industria. Dobbiamo tutelare e promuovere le nostre eccellenze, soprattutto all'estero. Il Brasile è un Paese in crescita, la concorrenza di Usa e Germania era fortissima».
Insomma, ciascuno fa il suo mestiere ma pure questa storia va a arricchire il già poderoso volume sui rapporti fra giustizia, politica e industria. Troppe volte i magistrati per inseguire i propri sospetti mandano ko i big del Palazzo e si mettono di traverso alle grandi realtà industriali. Il risultato, naturalmente, è quello di mandare a picco le commesse già assegnate o sul punto di essere conquistate dai nostri capitani d'industria. Purtroppo il nostro Paese funziona così e non si è trovato un punto di equilibrio fra le diverse esigenze. Scajola ripropone ora un'altra frase scandita in quel fatidico ottobre 2012: «Dimostrerò che ho ragione». Pareva un'autodifesa di rito, giusto per guadagnare tempo, ora si scopre che l'ex ministro dell'Interno non bluffava. E i pm nella richiesta di archiviazione scrivono: «La transazione per la quale vi fu promessa di tangenti non fu mai conclusa». Insomma, qualcuno dovrà pur porsi, prima o poi, un problema fin qui ignorato: come conciliare i tempi della giustizia e quelli del business. Non si tratta di mortificare il valore della legalità, ma si dovrà salvaguardare il nostro apparato industriale, spesso bloccato da indagini rigidissime che mettono a repentaglio il nostro export. Sempre Finmeccanica è stata bloccata in India da lavoro di scavo dei pm che avevano immaginato il pagamento di un gigantesco obolo per conquistare un maxi contratto da 560 milioni di euro per 12 elicotteri.
Queste indagini, raccontate dai giornali con titoloni in prima pagina, hanno un grande impatto a livello internazionale e sporcano la già non limpida immagine del nostro paese nel mondo. L'Italia ha un alto tasso di corruzione, ma noi ci mettiamo del nostro lasciando intendere che siamo anche peggio. E invece qualche volta l'obolo non c'è o almeno non salta fuori.
Scajola, amareggiato per le sue vicissitudini, torna anche sulla controversa vicenda dell'acquisto della casa con vista sul Colosseo: «In passato ho dato le dimissioni senza essere indagato. Era un segno di rispetto per l'inchiesta, è stato interpretato come un'ammissione di colpevolezza. Che tristezza».
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