Afghanistan in fiamme

Zaki, morto inseguendo il suo grande sogno. Ora il calcio si metta in ginocchio anche per lui

Il nazionale giovanile precipitato dal carrello del C-17 Usa a cui si era aggrappato

Zaki Anwari aveva diciannove anni. Lo hanno trovato morto, in mezzo ad altri dieci, cento, sulla terra di polvere e di sangue dell'aeroporto Hamid Karzai di Kabul. Volti e corpi straziati, ultime immagini di esistenze smarrite e violentate dalla follia religiosa.

Zaki sapeva giocare a pallone, faceva parte della nazionale giovanile afgana. Studiava e sognava di fare il modello, alcune fotografie lo ritraggono vestito di seta lampone e con posture eleganti. Nel suo ultimo post aveva scritto: «Sei il pittore della tua vita. Non permettere che nessuno distrugga il tuo dipinto». Zaki Anwari si era svegliato scoprendo che la città e il Paese tutto stavano impazzendo di voci e di terrore, i talebani avevano occupato Kabul, giravano per le case, cercando il nemico da eliminare, sparavano alle spalle di donne e uomini, era il ritorno al buio che lui, ragazzo, nemmeno aveva conosciuto del tutto.

Zaki indossava una maglietta rossa, con il numero dieci, ha capito come fosse arrivata l'ora della vita, si è messo a correre verso l'aeroporto, assieme ad altri compagni e gente sconosciuta, una folla come quella dello stadio ma non c'era festa e nemmeno gioia, soltanto terrore.

Correvano verso la speranza e la libertà, tentando invano di salire e poi infine aggrapparsi alla carlinga o alle ruote del cargo americano, l'enorme C-17 A che stava portando via la moltitudine di disperati da Kabul.

Inutile è stata la corsa di Zaki, la potenza mastodontica dell'aereo, mille mani attorno, il rombo dei motori, il terrore, l'ansia, l'angoscia lo hanno spinto e poi ributtato verso il buio. Ieri, quello che restava della sua esistenza, è stato raccolto e portato nella scuola superiore franco-afgana Esteqlal che Zaki frequentava. Li chiamano falling men, per qualcuno ricordano le ombre che precipitavano dalle torri gemelle dell'undici settembre ma quelli erano donne e uomini che scappavano dalla morte, Zaki, come mille altri afgani, sono caduti nel vuoto respinti dall'ultimo respiro di vita.

Il suo dipinto è stato strappato e cancellato dall'invasione talebana. Sarebbe bello ma credo impossibile che i ragazzi del calcio di ogni dove si inginocchiassero, stavolta per cordoglio sincero e non per scelta ideologica e di colore della pelle, in memoria di un ragazzo afgano, morto inseguendo la libertà uccisa dalla violenza religiosa islamica. Non credo che tutto questo accadrà.

Zaki è uno di tanti.

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