Zingaretti riapre la Ditta e porta il Pd all'ala estrema

Da oggi conclave in abbazia con l'incubo emiliano: «Se perdiamo il segretario lascia e voto in primavera»

Zingaretti riapre la Ditta e porta il Pd all'ala estrema

Oggi il Pd si chiude in convento: un seminario a porte chiuse nell'abbazia di Contigliano (Rieti), presenti dirigenti, parlamentari e ministri, per discutere «l'agenda della seconda parte della legislatura», e provare a riaffermare un proprio ruolo - per ora poco visibile - nella scombiccherata alleanza giallorossa.

Sul conclave dem, però pesa l'incognita Emilia Romagna, e la grande paura di una sconfitta che farebbe saltare tutti i giochi, la leadership Pd e, probabilmente, anche il governo Conte. «Se Bonaccini perdesse, Nicola Zingaretti dovrebbe dimettersi, e resistere alla spinta del voto sarebbe impossibile: in primavera si andrebbe alle urne», spiega un dirigente.

E pesa anche l'iniziativa del segretario Zingaretti, che con un'intervista a Repubblica giudicata «estemporanea» dai meno severi e definita più seccamente «velleitaria e confusa» da un esponente di governo Pd, ha lanciato l'idea di una sorta di «rifondazione» del partito, fino a far ipotizzare un cambio di nome (non più «partito» ma solo «Democratici») e la «apertura a nuovi soggetti». Le Sardine, evocate nell'intervista, per ora non sembrano scaldarsi molto: «È troppo presto per partecipare alla nascita di un nuovo Pd», dice il loro portavoce Santori. «Impostazione condivisibile, i partiti non devono mettere il cappello sui movimenti», replica conciliante Zingaretti.

Allo stato, comunque, gli unici pronti ad attaccarsi con sollievo alla cima di salvataggio lanciata dal Nazareno sono gli scissionisti di Leu, il partitino fondato da D'Alema e Bersani: «Zingaretti indica la strada giusta, una nuova sinistra popolare», si appassiona il bersaniano Fornaro. Più prosaicamente, Loredana De Petris spiega che «se si cambia la legge elettorale, con lo sbarramento al 5%, per noi diventa più facile spiegare perché rientriamo nel Pd».

L'ipotesi del ritorno degli ex suscita ovviamente reazioni negative nell'anima moderata e riformista dei Dem, che temono «una riedizione fuori tempo del Pci». Il ministro della Difesa Guerini ammonisce: «È normale che un moderno centrosinistra contenga anime diverse. Il problema non è andare verso sinistra o verso il centro: è evitare di andare all'indietro».

Ai molti dirigenti dem che son saltati sulla sedia leggendo l'intervista, e hanno chiamato Zingaretti per avere spiegazioni, il segretario ha spiegato che è stato il quotidiano di Largo Fochetti a «forzare» le sue dichiarazioni, ricamandoci sopra. «La solita smania di Repubblica, che pretende di eterodirigere il partito», lamentano nel Pd. Dove in molti, però, sono convinti che il vero obiettivo dell'ipotesi di «rifondazione dem» non sia tanto quello di recuperare i rottami di Leu, ma quello di «provare a costruire il partito di Conte». Il Pd, secondo il disegno attribuito a Bettini e Franceschini, proverebbe ad assorbire il dissenso M5s, a cominciare dal fantomatico gruppo dell'ex ministro Fioramonti, per creare un «campo allargato» pronto ad offrire la premiership all'azzimato ex avvocato del popolo, magari attraverso primarie più o meno addomesticate.

Ma il voto in Emilia Romagna potrebbe travolgere i piani più astuti e le aspirazioni di tutti gli attori politici.

A cominciare da quelle di Zingaretti, che in caso di vittoria aspira a farsi riconfermare segretario da un congresso in tempi brevi, emancipandosi dalla tutela delle correnti che lo appoggiano. E magari ad entrare nel governo, dimettendosi da presidente del Lazio e togliendo a Franceschini la guida della delegazione dem nell'esecutivo.

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