Roma - A due giorni dalle primarie, l'oggetto del contendere nel Pd rimane lui: Matteo Renzi.
L'ex leader non si occupa del partito, ignora la battaglia congressuale (ma ha schierato i suoi in vario modo attorno a due dei tre contendenti) e gira l'Italia per suo conto, presentando il suo libro e riempiendo teatri. Ma è sulla stagione renziana - per cancellarla, superarla o rivendicarla - che si dividono Nicola Zingaretti (che i sondaggi danno già per vincitore), Maurizio Martina e Roberto Giachetti, protagonisti ieri di un confronto «all'americana» trasmesso da Sky.
Un confronto anomalo, nel panorama assai becero del dibattito politico attuale: civile, pacato e su temi concreti. Giachetti, l'outsider senza nomenklatura alle spalle, è stato la sorpresa nel voto degli iscritti, ed è rapidamente diventato il portabandiera del renzismo delle origini, che rivendica quella «stagione di riforme» e la rottura con la sinistra massimalista. Martina, il segretario uscente, di Renzi è stato vice nel partito e ministro nel governo, e con lui sono schierati pezzi da novanta del renzismo come Luca Lotti e Lorenzo Guerini. Ma ora invita a guardare oltre quella stagione: «Basta dividerci tra renziani e antirenziani, facciamo un passo avanti». Nicola Zingaretti, che pure evita i toni polemici e assicura che da segretario «sarei l'uomo più felice del mondo se Renzi volesse impegnarsi nel Pd», è invece colui che gran parte dello stato maggiore Pd ha investito del ruolo di liquidatore del renzismo e del ritorno ad un partito non più leaderistico, che guarda a sinistra. E ieri ha preso, sia pur morbidamente, le distanze dalle riforme del governo Renzi: «Noi non abbiamo visto quanto stavano crescendo le disuguaglianze e la solitudine delle persone, l'insicurezza e la paura». È stato ben attento, però, ad offrire il fianco alla polemica sul dialogo con i Cinque Stelle: «Nessuno vuole alleanze con loro», ha assicurato. Giachetti lo ha però accusato di voler riportare il Pd «ai tempi dell'Unione prodiana, con i partiti che litigavano su tutto e il governo che non riusciva a decidere su nulla». Ha avvertito che «se si vuole aprire ai grillini o far rientrare gli scissionisti di Leu, il Pd non sarà più casa mia». E che i vari Bersani e D'Alema non vedano l'ora, tolto di mezzo Renzi, di tornare all'ovile Pd dopo il triste naufragio del loro partitino di sinistra dura e pura lo si capisce dal tifo esplicito che fanno per Zingaretti (e che lui si guarda bene dal respingere). «Ho grande stima di Zingaretti, con lui si può fare una sinistra larga e plurale», dice Bersani.
Giachetti va all'attacco anche di quei supporter zingarettiani, come Goffredo Bettini, che «al Parlamento europeo, sulla mozione a proposito di Venezuela, hanno votato con Lega e M5s, che sostengono il dittatore Maduro, contro Guaidò sostenuto dalla Ue».
Toni diversi anche sulla «giustizia a orologeria» e il caso dei genitori di Renzi: se Martina e Zingaretti si trincerano dietro il «rispetto per i magistrati», Giachetti non fa sconti: «La giustizia italiana è malata, l'ho pensato per certe cose capitate a Berlusconi, a Mastella, perfino per certe intercettazioni della Raggi. Va riformata, a prescindere da chi è colpito».
Su una cosa però i tre candidati sono d'accordo, ossia nell'augurarsi una partecipazione ampia alle primarie: «Almeno un milione di persone», si augura Maurizio Martina. «Siamo l'unico partito che consente una reale partecipazione democratica», dice Giachetti.
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