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Il Polo apre a un governo-ponte

Il Polo apre a un governo-ponte

Roma - «L’Unione è in agonia, non esageriamo con i toni delle dichiarazioni altrimenti corriamo il rischio di ricompattarli. Non è il momento di gridare al voto, al voto». È questa la raccomandazione che Gianfranco Fini fa agli alleati, riuniti a Palazzo Grazioli, subito dopo la conclusione del dibattito al Senato. Un invito alla compostezza sposato anche da Silvio Berlusconi che è, ovviamente, euforico per l’uppercut inflitto al governo. Un colpo di scena che per il presidente di Forza Italia è giunto almeno in parte inaspettato, visto che finora minacce e fughe in avanti erano rimaste sempre e soltanto nel territorio verbale.
Un risultato figlio anche dell’ottima strategia tenuta in aula dai presidenti dei gruppi, rimasti in costante contatto con i leader dei vari partiti. Un impegno che viene riconosciuto «sonoramente» quando nel salotto del numero uno azzurro entra Renato Schifani e si unisce a Berlusconi, Fini, Roberto Maroni, Gianni Letta, Paolo Bonaiuti, Francesco Nucara e Gianfranco Rotondi. Per il presidente dei senatori di Forza Italia scatta una vera e propria ovazione, simile a quella che si concede a un combattente appena uscito da un match vittorioso. La linea ufficiale di Berlusconi è quella di attendere le mosse del Capo dello Stato e monitorare con attenzione l’atteggiamento di Pier Ferdinando Casini, assente al vertice come da recente copione.
Nella riunione Berlusconi, parlando con gli alleati, dà atto a Massimo D’Alema di essere andato fino in fondo nella sua linea. Forse, perché, fa notare un altro degli interlocutori «pensava alla fine di poter contare sui voti dell’Udc che, invece, ha dimostrato di non essere disposta a votare con quella che è ormai una ex maggioranza». La constatazione dominante è che «non si può tenere in vita artificiosamente un governo morto né si può procedere alla riedificazione di un secondo governo Prodi che sarebbe soltanto una minestra riscaldata». L’orientamento, quindi, resta quello di aprire alla possibilità di un governo «transitorio» e non targato Prodi che realizzi alcune riforme indispensabili per il Paese, come la riforma della legge elettorale per poi tornare al voto. Tra le tante ipotesi si sarebbe ragionato anche sulla possibilità di manifestazioni popolari per convincere Prodi a lasciare la strada libera.

Per il momento solo ipotesi, come quella secondo cui si dovrebbe mettere in piedi un governo-ponte con cui arrivare alle elezioni.

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