Gianni Pennacchi
da Roma
Bugiardo lui o bugiardo l’altro? E come evocando quel celebre film, Ignazio La Russa risponde pensieroso: «Non è da escludere che lo siano entrambi». Pier Ferdinando Casini annuisce deciso e gli fa eco: «È così, questo è il commento più appropriato da fare». Daniela Santanché sussurra: «Mi auguro che parli prima di giovedì», cioè entro oggi; e al cronista che cerca lumi, chi?, Prodi?, risponde divertita: «No, no, Tronchetti Provera. Così nel dibattito ne vedremo delle belle». Maurizio Gasparri è lapidario, «se viene in Parlamento è matto», sentenzia parodiando l’emiliano del premier che all’esplodere della vicenda Telecom, quando l’opposizione aveva chiesto il dibattito parlamentare, aveva reagito con un «ma siamo matti» improvvido. «L’è matt», irride Gasparri.
Pomeriggio di ieri, i quattro son seduti sui gradini del portale a vetri che dal Transatlantico s’apre al cortile interno di Montecitorio, attendendo che chiami la campanella del voto sul decreto per la missione in Libano. Si commenta il verbale della riunione del Consiglio di amministrazione della Telecom, reso pubblico dal Giornale, dove risulta che Marco Tronchetti Provera ha riferito ai soci di aver informato Romano Prodi del progetto di scorporo della Tim, garantendo che il presidente del Consiglio non si oppone. Ha mentito Tronchetti Provera al Consiglio di amministrazione di Telecom o Prodi al Paese? Casini, La Russa, Gasparri e pure Santanché son d’accordo nel non escludere alcuna ipotesi, anche quella di un concorso in mendacio. Concordano pure nel giudizio di gravità e peso diverso: se ha mentito Tronchetti Provera è finanche comprensibile, agiva in «stato di necessità» e risponde alla sua azienda; ma inammissibile è che a mentire sia il presidente del Consiglio, «se fosse così se ne deve andare».
E ciò mentre già all’ora di pranzo Roberto Calderoli ammoniva che se Prodi non smentiva «immediatamente» il Giornale è preferibile che domani «non si presenti neppure in Parlamento», o meglio ancora «che rassegni immediatamente le dimissioni», perché «non esiste al mondo un Paese in cui un premier resta in carica ancora un minuto avendo mentito a ripetizione alla nazione». E Silvio Berlusconi, interpellato sulle dimissioni di Tronchetti Provera, rispondeva: «Non so se si sia dimesso su pressione del governo, io in questa vicenda non ci voglio entrare e non ne voglio parlare». Commentava invece l’affaire delle intercettazioni, il leader dell’opposizione: «Da quel che si legge sui giornali sono sollevato, se così si può dire, almeno dal fatto che questi dossier sono costruiti su una accozzaglia di informazioni».
Ma il dibattito sugli scalini prosegue, i quattro non hanno posizioni preconcette ma mostrano perplessità e prudenza, voglia di capire in questo vortice di tante verità contrastanti, intercettazioni, spioni pubblici e privati. Casini non è tenero con Tronchetti Provera: «Se è così come ha detto nella conferenza stampa, invece di parlare di zone grigie perché non fa nomi e cognomi? Si riferiva forse ad apparati dello Stato?». In ogni caso, spiega in serata a Ballarò, «ho visto un mercanteggiamento tra il capo del governo e il dottor Tronchetti Provera che, qualunque sia stata la loro opzione comune, era sbagliato».
La Russa punta Prodi: «Certo, Tronchetti potrebbe aver mentito. Ma che un imprenditore menta, per stato di necessità visto che deve salvare la sua azienda, è anche comprensibile. Quello che non è ammissibile invece, è che menta il presidente del Consiglio all’intero Paese: sarebbe un fatto gravissimo, se fosse così se ne deve andare». Gasparri sforna un’altra battuta: «Tronchetti proverà - e calca sull’accento ammiccando - proverà che Prodi mente».
Così il verbale del Cda Telecom surriscalda la vigilia dell’appuntamento di Prodi a Montecitorio. Isabella Bertolini non ha dubbi: «I documenti parlano chiaro. Prodi sapeva tutto su Telecom e sul piano Rovati: dunque ha mentito agli italiani, quindi si deve dimettere. Il Professore sta coprendo di vergogna l’Italia.
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