Roma - Il centrodestra si prepara a chiedere un nuovo dibattito parlamentare sul caso Visco. La missione, visti i numeri nelle due aule, appare pressoché impossibile. Una corsa in salita per tentare di rompere la logica di schieramento e portare alla luce i tanti malumori che covano sotto la cenere nelle fila dell’Unione per la maldestra gestione della «rimozione forzata» del generale Roberto Speciale da parte dell’esecutivo. Il tentativo, però, verrà fatto e l’affondo sarà portato dalla Casa delle libertà nel suo insieme, senza distinguo o cavalcate solitarie.
Oggi, a margine della riunione dei capigruppo fissata per le 13, l’opposizione cercherà di pianificare una strategia comune per approntare l’offensiva. Sotto traccia, però, le grandi manovre sono già iniziate. Nell’Udc, ad esempio, si sta lavorando a una mozione che impegni il governo a chiedere le dimissioni del viceministro e il ritiro a tempo indeterminato delle deleghe, sospese in seguito alla vicenda Speciale. Questa strada alternativa alla mozione di sfiducia individuale è stata tracciata dal presidente dei senatori centristi, Francesco D’Onofrio, che l’ha proposta alla direzione nazionale del suo partito. La mozione di sfiducia individuale nei confronti del viceministro risulta, infatti, «tecnicamente controversa» in quanto i regolamenti parlamentari prevedono che documenti del genere possano essere utilizzati solo nei confronti dei ministri. Un tempo, anzi, non era prevista neppure la sfiducia individuale. L’innovazione scattò nel giugno del ’95 quando si scatenò la furia del centrosinistra contro Filippo Mancuso. Il ministro di Grazia e Giustizia del governo Dini finì nel mirino per l’invio di ispettori ministeriali alla Procura di Milano e per le sue dichiarazioni nei confronti del pool di «Mani pulite». Una colpa che gli valse, per la prima volta nella storia repubblicana, questo inedito provvedimento «ad personam». La Casa delle libertà sa bene che, difficilmente, riuscirà a pescare voti nello schieramento avverso. Farà, allora, leva su un altro aspetto. Vincenzo Visco finora ha presentato soltanto una semplice lettera in cui, pur dichiarandosi in pace con la sua coscienza, comunica a Tommaso Padoa-Schioppa la sua temporanea autosospensione dall’esercizio delle deleghe sulla Guardia di Finanza. Manca, quindi, un atto ufficiale e formale di revoca. Ebbene, alla vigilia del dibattito parlamentare del 6 giugno scorso, ci furono alcuni senatori della maggioranza - tra cui Willer Bordon - che chiesero a gran voce il ritiro delle deleghe. La Casa delle libertà chiederà loro di prendere atto che l’autosospensione è una presa in giro e di votare per questa «mozione di scomunica» che farebbe scattare l’effettivo ritiro delle deleghe a Visco.
In attesa che le manovre parlamentari inizino a prendere corpo continuano le schermaglie verbali da parte del centrodestra. «Non solo il comportamento di Visco», ma anche quello «di Padoa-Schioppa e di Prodi è del tutto indecente» dice il vice coordinatore di Forza Italia Fabrizio Cicchitto. «La protervia di Visco è ben nota», ma a essere «gravissimi» sono anche «il documento inviato da Prodi al Parlamento e la grottesca requisitoria contro Speciale, scritta da un piccolo stalinista di provincia». Chiede a gran voce un passo indietro del viceministro anche Francesco Nucara. «Le dimissioni sono obbligate altrimenti l’assenza di sensibilità istituzionale sconfinerebbe in arroganza politica» dice il segretario del Pri. Sceglie la linea dura anche Alleanza nazionale. «Il caso Visco deve tornare in Parlamento. Vista la sua ostinazione a restare saldo sulla poltrona nonostante lo scandalo che lo vede protagonista, è in sede democratica che si deve provvedere a rimuoverlo» dice Maurizio Gasparri.
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