Polonia, microfilm «incastra» l’arcivescovo spia dei comunisti

La Santa Sede aveva difeso monsignor Wielgus, successore del cardinale Glemp a Varsavia, ma ora ci sono prove della sua compromissione

da Roma
Si aggrava la situazione del nuovo arcivescovo di Varsavia, Stanislaw Wielgus, 67 anni, nominato il 6 dicembre scorso quale successore del cardinale Glemp, che fra due giorni farà il suo ingresso in diocesi: nuovi documenti usciti dagli archivi sembrano dimostrare, come scrive l’autorevole quotidiano polacco Rzeczpospolita, che il prelato sia stato «per vent’anni un agente segreto dei servizi comunisti». Tre settimane fa, le prime accuse contro Wielgus – ma senza pezze d’appoggio – erano state pubblicate dal settimanale di destra Gazeta Polska. La reazione della Santa Sede era stata immediata e confermava la piena fiducia del Papa nell’arcivescovo. Ora, grazie a un microfilm, emergono nuovi e più gravi elementi. «Io Grey – Stanislaw (uno dei presunti pseudonimi utilizzati da Wielgus) concordo a collaborare con i servizi segreti della Repubblica popolare polacca durante la mia permanenza all’estero. La collaborazione si baserà sull’offerta di servizi di intelligence dalla Germania federale e da altri Paesi ostili, secondo le istruzioni del Centro per i servizi di Intelligence. I servizi metteranno a disposizione tutti i mezzi e l’eventuale aiuto legale per lo svolgimento delle suddette attività». Questo il testo del documento riportato in formato integrale da Rzeczpospolita. È datato 23 febbraio 1978, ma non sarebbe il primo a dimostrare il coinvolgimento dell’attuale arcivescovo di Varsavia nelle operazioni di spionaggio. I primi contatti, infatti, risalirebbero al 1967, quando Wielgus era ancora uno studente di storia e filosofia presso l’Università cattolica di Lublino. Il condizionale è d’obbligo, perché non si può escludere che in questa vicenda non siano entrate in gioco vendette trasversali.
Perché Wielgus si sarebbe avvicinato ai servizi segreti comunisti? Secondo il quotidiano polacco «per accelerare la propria carriera accademica». In particolare, i servizi segreti sarebbero riusciti ad assicurare una borsa di studio a Wielgus all’università di Monaco. Il nuovo documento, insieme ad altri, sarebbero già in mano dell’Istituto per la memoria nazionale (Ipn), organo incaricato di «approfondire» la storia polacca e il passato dei suoi protagonisti. Nelle scorse settimane Wielgus, pur ammettendo di «essere entrato in contatto con i servizi segreti» per ottenere autorizzazioni di visto per i suoi viaggi all’estero, si era difeso bollando tutta la questione come una mistificazione, creata dai servizi segreti al fine di screditare la sua figura. Nella vicenda interviene Jozef Kloch, portavoce della Conferenza episcopale polacca: «La Chiesa polacca sta esaminando gli archivi dopo le accuse di spionaggio rivolte a monsignor Wielgus», ha spiegato il portavoce. «Abbiamo consegnato il rapporto all’arcivescovo affinché possa avere la possibilità di difendersi». Kloch si è rifiutato di rendere noti i dettagli sui contenuti degli archivi, ma ha precisato che la commissione preparerà probabilmente presto un rapporto sull’argomento.
Il 21 dicembre scorso, il Vaticano aveva dichiarato che «nel decidere la nomina del nuovo arcivescovo metropolita di Varsavia» erano state prese «in considerazione tutte le circostanze della sua vita, tra cui anche quelle riguardanti il suo passato. Ciò significa che il Santo padre nutre verso mons. Stanislaw Wielgus piena fiducia e, con piena consapevolezza, gli ha affidato la missione di pastore dell’arcidiocesi di Varsavia». Parole dalle quali sembra emergere che le accuse fossero note al Vaticano. È probabile però che non lo fossero in tutta la loro consistenza e portata. Fonti anonime della Chiesa polacca non nascondono l’imbarazzo che questa situazione sta creando, a poche ore dall’ingresso del nuovo arcivescovo: «Si tratta di un caso grave, una storia triste e delicata, non è affatto una cosa piacevole».

Il 25 maggio scorso, proprio a Varsavia, incontrando il clero della città, Benedetto XVI aveva fatto riferimento al problema dei dossier riguardanti il clero collaborazionista dicendo: «Conviene tuttavia guardarsi dalla pretesa di impancarsi con arroganza a giudici delle generazioni precedenti, vissute in altri tempi e in altre circostanze. Occorre umile sincerità per non negare i peccati del passato, e tuttavia non indulgere a facili accuse in assenza di prove reali o ignorando le differenti precomprensioni di allora».

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