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Ponte di Legno, palco degli show estivi

RomaPonte di Legno, parole di fuoco. Negli ultimi tre lustri nei suoi comizi agostani dalla località turistica della Val Camonica Umberto Bossi ha messo nel mirino tutto e tutti. Le cannonate estive sono una tradizione a cui il Senatùr non ha mai voluto rinunciare. E che hanno spesso puntato a obiettivi eccellenti. Già sedici anni fa, il 19 agosto del 1993, Bossi in vacanza nel paese al confine tra Lombardia e Trentino annuncia i lavori di una «legge di epurazione» per la Rai. «I pennivendoli del vecchio regime devono andarsene», tuona, spiegando di voler invitare i cittadini a pagare il canone non direttamente a viale Mazzini ma a una associazione «fondata dalla Lega che pagherà alla Rai solo a patto che cominci la ristrutturazione dell’azienda». Anche più brutali le parole riservate alla Dc solo due giorni prima: «I democristiani si devono suicidare e poi venire da noi con le mani alzate». L’anno dopo, nel 1994, il Carroccio è nell’esecutivo con Silvio Berlusconi, e da Ponte di Legno il leader leghista smentisce l’ipotesi di un ribaltone: «Dal governo non esco nemmeno per sogno». Ma come è noto, le cose andarono diversamente. E così ad agosto del 1995 il Senatùr spara ad alzo zero contro gli ex alleati del centrodestra, accusati di aver fatto campagna acquisti nelle file del suo partito: «La Lega ha retto contro una liquidità spaventosa: pensate che per il primo parlamentare nostro andato via hanno pagato 864 milioni». Nello «show» datato 1996 tocca ad Antonio Di Pietro subire gli strali bossiani dalla Val Camonica. L’ex pm aveva pronosticato: «Il segretario della Lega a forza di provocare prima o poi finirà per dover fare i conti con qualche tribunale». E Bossi, che lo chiama «muratorello ignorante» replica: «Per la Lega Di Pietro è il nemico del Nord, è l’uomo mandato per incastrare la Lega». E ancora: «È uno che si è sempre nascosto dietro Mani pulite, ma in realtà lui ha sempre fatto parte del sistema colonialista, razzista e fascista». Ma ce n’è anche per Luciano Violante: «Da Mani pulite in poi è tutto questo sistema fascista che si sta muovendo contro la Lega. E cosa credete: è Violante che tira le fila di tutto questo, è il fascista presidente della Camera». Per non farsi mancare niente, l’estate successiva, a Ferragosto, l’artiglieria verbale di Umberto Bossi punta dritto sul Vaticano. «Sono lontani i tempi di Giovanni XXIII, il grande lombardo, il quale disse che erano finiti gli interessi della Chiesa nella politica, e che era tempo di occuparsi solo delle coscienze», spiega al popolo padano riunito in Val Camonica, per poi proseguire: «Adesso è arrivato il papa polacco, che ha portato la Chiesa a interessarsi molto di più del potere temporale invece che del potere spirituale. I vari casi di Ior e Marcinkus sono lì a dimostrarlo». Ma nel ’97, e sempre da Ponte di Legno, Bossi parla anche dell’«esercito di Franceschiello» che avanza, e definisce il futuro premier Massimo D’Alema «il nuovo Führer» che attraverso il «nazionalsindacalesimo» vuole arrivare al «nuovo nazionalsocialismo». E se ieri alla festa del Carroccio Bossi ha elogiato l’attuale capo dello Stato dicendo di preferirlo a Carlo Azeglio Ciampi, undici anni fa all’ombra del Passo del Tonale i toni del leader leghista riservati a Giorgio Napolitano (allora titolare del Viminale) erano leggermente diversi, soprattutto per la linea del governo sull’immigrazione: «Il ministro dell’Interno deve piegarsi al popolo. Chiederò una grande manifestazione ovunque perché questo governo e questo vergognoso ministro se ne vadano». Per inaugurare il nuovo millennio, il 13 agosto 2000 Bossi spara sul «nuovo comunismo». Si tratta, spiega, di «un nazismo rosso sorto dall’alleanza con banchieri e massoni» che puntava a «distruggere famiglie e occidente» con «politiche di immigrazione e di compiacenza verso gli omosessuali».
Passano gli anni ma la verve resta la stessa. Nel 2003 nel mirino c’è ancora la sinistra, che per «raggiungere il potere» ha scelto «la via come quella del Cile: spara su tutto per creare scompiglio tra la gente».

Nel 2006 riecco il tema dell’immigrazione: «La via dell’integrazione europea mi pare fallita, basta pensare a quelli che volevano fare gli attentati sugli aerei: avevano tutti la cittadinanza inglese, ma non è cambiato niente». E appena l’anno scorso aveva difeso la sua scelta di mostrare il medio a un comizio parlando dell’Inno di Mameli: «Non è un insulto, ma una memoria storica».

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