Economia

«Pop Emilia, crescita e niente banca unica»

Il new deal del «Bancone» abbracciato dal Banco Popolare di Pier Francesco Saviotti per tagliare i costi di governance, non fa breccia a Modena. Dove la Popolare dell’Emilia Romagna, guidata da Fabrizio Viola, punta invece sul proprio «cuore» federale per chiudere l’anno con margini di interesse «in miglioramento» rispetto al primo semestre: a fine giugno l’utile era 96,1 milioni l’utile, in crescita del 45,4% al netto dei proventi straordinari. A dirlo oggi agli analisti sarà lo stesso Viola, ma anche il nuovo piano industriale, atteso a fine anno, «confermerà l’idea di abbassare i costi operativi, mantenendo un forte sistema di banche di territorio». Pur tra qualche intervento per razionalizzare gli sportelli nel centro Italia.
Dottor Viola, la crisi ha aumentato la pressione sui margini e l’esigenza di ridurre i costi, Bper ricorrerà al nuovo Fondo esuberi come ha fatto Intesa Sanpaolo?
«Nel primo semestre abbiano ridotto il personale, che è sceso di 102 addetti rispetto a dicembre 2010 e di 156 addetti in 12 mesi (-1,3%), con la sola gestione del turn over. Spero di poter procedere in questo modo».
Le nozze Bper-Bpm, poi fallite per il «no» della Popolare di Milano, avevano un notevole potenziale strategico. Il mercato scommette che il progetto possa tornare di attualità...
«Non c’è nessun contatto, Bpm è oggi impegnata come Bper sul proprio piano industriale e sul rafforzamento patrimoniale».
I soci di Bpm sono però presto chiamati a sopportare un massiccio aumento di capitale in condizioni di Borsa molto difficili; nel caso l’inoptato fosse elevato Modena si farà avanti?
«Non voglio entrare nel merito delle operazioni Bpm, ma i fattori che hanno portato alla conclusione negativa dell’accordo di integrazione nel 2007 sono tutt’ora esistenti all’interno della Milano».
Il presidente della Popolare di Vicenza, Gianni Zonin, ha sollecitato le cooperative a organizzare un mutuo soccorso per evitare eventuali scalate ostili. È un’idea percorribile?
«Purtroppo le valutazioni che oggi il mercato esprime sul settore del credito sono iper-compresse, non solo per le Popolari, ma anche per le banche società per azioni, quindi è un problema di sistema. In ogni caso l’attenzione che tutti abbiamo sul capitale e la liquidità rende molto limitata la possibilità di pensare alla costituzione di eventuali cordate di salvataggio».
La crisi come cambierà il business degli istituti di credito?
«La crisi impone di aumentare la base dei servizi che possono assicurare un ritorno in termini di commissioni e di completare una forte riduzione dei costi operativi; l’altro aspetto delicato è la liquidità. Bisognerà rivedere le strutture distributive, è troppo poco che il sistema creditizio sta razionalizzando la rete: credo che di nuovi sportelli ne vedremo pochissimi».
Quanto sarà marcato il rialzo dei tassi applicati ai prestiti concessi a famiglie e imprese?
«Il repricing è in atto perché il prezzo della raccolta ingloba un costo del rischio sistemico che non può non essere considerato dal punto di vista degli spread sugli impieghi. Il processo di adeguamento, tuttavia, sarà lento e comunque interesserà soprattutto le nuove operazioni. Auspico che la manovra del governo contribuisca a normalizzare la situazione, ma anche agli attuali livelli dei Btp, il costo dei prestiti potrebbe raggiungere tassi elevati».
Che cosa replica a quanti ritengono che la natura di cooperativa mal si addica a una grande banca quotata?
«Chi investe sulle Popolari lo fa con la piena conoscenza delle regole di governance. Bper ha, peraltro, già raccolto in modo attivo le sollecitazioni di Bankitalia per favorire la più ampia partecipazione alle assemblee, sia con l’aumento delle deleghe sia con la possibilità di esprimere il voto a distanza».
Fatto salvo il voto capitario, ritiene ancora opportuna la distinzione tra socio e azionista?
«È un aspetto che perderà di rilevanza, perché il settore sta progressivamente allentando le regole di iscrizione a libro soci».
Però il cda di Bper è di recente ricorso allo statuto per espellere l’avvocato Gianpiero Samorì dal corpo sociale, lasciandogli i soli diritti patrimoniali. Ci sono stati altri contatti?
«Credo sia giusto conservare le regole di appartenenza alla cooperativa, ma ci sono delle situazioni estreme su cui bisogna intervenire. Il nostro gruppo ha peraltro già fissato dei paletti molto blandi per l’iscrizione al libro soci, dove è stato ammesso anche un fondo di investimento».
Sabato prossimo l’assemblea dei soci sarà chiamata ad approvare un profondo riassetto del gruppo Bper, volto a ritirare le quote di minoranza delle controllate....
«L’obiettivo dell’operazione è ridurre in maniera consistente le minorities, che rappresentano il principale fattore di assorbimento di capitale con Basilea III. Senza questo freno, le nuove regole contabili sarebbero state per noi sostanzialmente ininfluenti. Il riassetto permette inoltre a Bper di rafforzare il patrimonio senza chiedere denaro ai soci e offre alle minoranze titoli quotati, quindi più liquidi».
Lei ha deciso di auto-ridursi lo stipendio, è stato un messaggio moralizzatore al settore?
«Ritenevo fosse giusto inviare un segnale ai soci e ai dipendenti del gruppo.

Non è un messaggio per gli altri, ognuno si comporta secondo la propria coscienza anche perché, in Italia, non ci sono le storture che si vedono all’estero e mi pare che le remunerazioni nel mondo del credito siano in linea con quelle percepite dai vertici del settore industriale».

Commenti