nostro inviato a Beaver (Pennsylvania)
Lei arriverà solo alle 19.30, ma alle 16 la coda per entrare al campo sportivo di Beaver, ridente sobborgo alle porte di Pittsburgh, è lunghissima. E aumenta di minuto in minuto. Cinquecento metri, un chilometro. Il sole tramonta e il freddo diventa pungente. Ma nessuno va via; anzi, la folla continua ad aumentare. Alle 18.30 la polizia ordina la chiusura dei cancelli. Tutto esaurito. Per Sarah Palin.
Ecco il suo popolo e appare diverso da quello descritto da un grande giornale come il New York Times. «Sono soprattutto uomini e parecchio su di giri per ragioni non sempre politiche», scriveva pochi giorni fa. E invece lo scopri composto da famiglie di ogni età, di ogni censo. Tante le donne, tanti i giovani, in un clima sereno da America di provincia fatta di convinzioni semplici: la famiglia, il lavoro, la chiesa, la patria. Tanta patria. La scenografia è insolitamente sobria per un comizio elettorale, con la sola eccezione di un’enorme bandiera americana a venti metri dal palco, che tutti guardano con gli occhi lucidi, portandosi la mano destra sul cuore, quando per ben due volte (prima dell’arrivo della Palin e poi in sua presenza) è suonato l’inno nazionale.
E gli uomini? Ci sono, ovviamente, e qualcuno è su di giri. «Se potessi me la sposerei», ammicca un ragazzone alto due metri, ben in carne, che indossa una maglietta piena di spille elettorali, ovviamente repubblicane. Qualcuno urla: «Sarah ti amo», ma la maggior parte dei suoi fan tiene a bada gli ormoni e non solo perché mogli e fidanzate sono pronte a fulminarli con lo sguardo. L’impressione è che sia cambiata la percezione della Palin: prima suscitava pulsioni per il suo temperamento, spumeggiante, e per la sua femminilità. Era una novità ed era, subliminalmente, anche un simbolo erotico. Ora è soprattutto un simbolo politico. Stando ai sondaggi piace sempre meno agli elettori indipendenti, che non la ritengono all’altezza della vicepresidenza, ma sempre di più alla base conservatrice.
Sarah motiva, sprona, trascina. Ashley e Mary hanno passato i settant’anni ma, per la prima volta in vita loro, si sono offerte come volontarie per un comizio. E non sono di Pittsburgh. Abitano a oltre duecento chilometri di distanza. «Ma per Sarah questo e altro», affermano sorridenti. Nel pubblico c’è chi è arrivato dal vicino Ohio, e chi addirittura dall’Indiana, come Martin Gordon, un dirigente d’azienda che ha preso un giorno di ferie pur di vedere la sua eroina da vicino e tornerà a casa a tarda notte. Molte famiglie vengono con bambini piccoli, di meno di dieci anni «perché devono imparare il privilegio della democrazia», spiega una casalinga di 40 anni, accarezzando i capelli rossi dei suoi due pargoletti.
Negli ultimi giorni sono scoppiati lo scandalo dei 150mila dollari pagati dal Partito repubblicano per vestire la famiglia Palin e quello dei viaggi di lusso a New York, con figli al seguito, che la governatrice avrebbe addebitato al contribuente dell’Alaska, mentre non si è ancora spento l’eco del verdetto di Colin Powell, che ha bocciato Sarah ritenendola non all’altezza della vicepresidenza.
Ma non c’è nulla che possa turbare il popolo della Palin. «Tutto qui?», chiede Ron, un pensionato con il basco in testa e la voce roca. «Obama e Biden hanno ben altro da farsi perdonare e Sarah ha molta più esperienza di entrambi, ma la stampa è schierata con i democratici e non racconta la verità». Nessuno crede ai giornali e men che meno ai sondaggi, «faziosi anche quelli - tuona uno studente universitario - il 4 novembre vinceremo noi».
Incrocio tre ragazze che si dichiarano born again christians: per loro Obama è «un comunista», «un musulmano», «un pericolo per l’America».
È la voce della destra religiosa fondamentalista, che è diffusa ma, a sorpresa, non predominante, perlomeno qui a Beaver. Tutti i fan di Sarah Palin sono credenti e praticanti, ma molti si dichiarano cattolici o protestanti su posizioni moderate. Diffidano di Barack Obama, ma considerano legittima la sua candidatura e accetterebbero una sua vittoria.
Importanti sono i valori: l’identità, l’appartenenza. Sarah si presenta con il marito Todd e due figlie. È in forma, agguerrita, parla a braccio. Attacca, come da copione, il rivale Obama «che non è pronto per essere presidente», ma infiamma la folla soprattutto quando difende «le tradizioni locali» ed esalta in John McCain «un uomo che combatte le guerre per vincerle e che ha trascorso 22 anni della sua esistenza in uniforme». Li manda in visibilio non appena promette «di ridurre le tasse» e «di difendere il sogno americano di Joe l’idraulico». «Volete davvero che un presidente distribuisca la ricchezza, come promette Obama?», chiede. La folla risponde con un uragano di fischi, poi si commuove quando Sarah cita «il dono divino» di accudire un bambino Down.
Alla fine la gente sciama via velocemente, infreddolita, ma contenta. Sì, la Palin è una di loro. Ha fede in Dio, nella famiglia, nel capitalismo e, naturalmente, nell’America. Che altro conta nella vita?
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