da Roma
«Se fossi stata con Sottile o altri avrei avuto un programma intero. E non sa le volte che sono stata scavalcata da qualcun'altra. Dovevo partecipare al reality di Carlo Conti «Ritorno al presente». Poi hanno preso Elisabetta Gregoracci, faccia un po lei»: Maria Concetta La Rosa, in arte Maria Monsè, sulle pagine di Vanity Fair e Donna Moderna, dice la sua su Vallettopoli e racconta la sua storia dall'approdo a Domenica In. «Lei non sa che cosa significa arrivare da Catania col sogno di fare tv. Io volevo fare l'attrice già da bambina». Ma per lavorare in Rai servono le raccomandazioni dei politici? «Certo che sì. Mi sembra ovvio». «Claudio Cappon - dice - è appena stato nominato direttore generale. Mi segua. Cappon è lì per nomina politica, poiché i consiglieri di amministrazione sono ognuno in quota a un partito. A pioggia, le nomine di direttori di rete e dei telegiornali, capistruttura eccetera sono per forza fatte su raccomandazione di politici. Perché le soubrette dovrebbero essere le uniche a non essere raccomandate dai partiti? Vede? Sono lottizzate anche le vallette». E lei, quando ha capito il trucco, chiede l'intervistatore, è andata a cercare i politici? «Li ho cercati. Ma c'è modo e modo: non mi sono offerta né venduta, mandavo avanti mio papà cardiologo. Lo costringevo a curare i miei amici potenti o i politici che conosceva lui».
«Il primo potente che ho fatto curare - racconta la Monsè - è Cesare Lanza, autore di Domenica In». Politici? «Qualcuno, ma i politici che conosceva papà in Sicilia non è che contassero molto in tv. Non basta un politico qualunque, ci vuole uno di peso».
Maria Monsè non è pentita dei suoi comportamenti e soprattutto di non aver allacciato un rapporto con il braccio destro di Fini. «Affatto, e comunque non ne avrei avuto occasione. Mi è stato presentato al ristorante I Due Ladroni ma non ho voluto che gli dessero il mio numero di telefono.
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