Torino - Torino è diventata un caso. Il centro dell’islam radicale, stando agli umori; il cuore del problema interreligioso, della difficoltà d’integrazione che diventa odio.
Qui, sotto la Mole, tra le vie di Porta Palazzo e gli altri reticolati della Casbah torinese, l’affare però sembra diverso. Più intestino alla comunità, più localizzato. Una specie di roccaforte inespugnabile per i vertici dell’islam italiano, come ha fatto capire ieri il viaggio della Stampa nel cuore dell’islamismo cittadino. La guerra tra le frange più dure e l’ala moderata della comunità musulmana sarebbe cominciata a metà degli anni ‘90 con l’arrivo dell’imam Bouriqi Bouchta, fondatore della moschea di via Cottolengo ed espulso nel settembre 2005 dall’allora ministro dell’Interno Pisanu, come indesiderato. Aveva idee molto radicali. Sfioravano la violenza. Fino a quando è rimasto in Piemonte, Bouchta ha sempre cercato per anni di accreditarsi come portavoce unico degli islamici torinesi.
A prendere il suo posto di predicatore radicale è stato dopo un po’ di tempo Abdelaziz Khounati, fondatore della moschea di Corso Giulio Cesare. I due - Boutcha e Khounati - prima erano molto legati, poi sono diventati nemici. Con l’uscita di scena del primo, il secondo ha conquistato sempre più potere, grazie anche all’appoggio crescente ottenuto dal Paese d’origine, il Marocco. La popolarità di Khounati gli ha attirato molte invidie. Così il livello di tensione è salito ancora.
La mappa del potere islamico in città racconta altri volti. Uno è quello di Abdellah Abouanas. È un moderato «ambasciatore di pace». È uno studioso e ambirebbe a diventare l’imam torinese più «accreditato». L’emergente, invece, è Mohamed Bahareddine, predicatore del venerdì al Centro Mecca di via Botticelli e (dietro compenso, s’intende) in altri centri. In via Cottolengo viene indicato come il «mandante» della trasmissione che ha messo nei guai la moschea di via Cottolengo gestita ora dall’erede di Bouchta, Mohammed Khoaila, oggi molto vicino a Khounati. La moschea di via Saluzzo (Fratelli Musulmani, imam Mahmoud Sinousy) è una quella dei duri e puri.
Tra rivalità, invidie, amicizie e odi, il caso Torino rischia di diventare quasi unico. Gli imam cercano di conquistare credito e influenza. L’arma è quella della delazione, così gli uni con gli altri, i leader si accusano di fondamentalismo. E questo non fa che aumentare i problemi: in questo modo, gli estremisti possono trovare spazio e facilità di manovra. Alcune moschee torinesi da tempo sono nel mirino dell’Antiterrorismo. Si parla di reclutamento di potenziali terroristi, di campagne per il finanziamento delle vedove dei kamikaze.
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