A Giorgio Napolitano, per il prestigio della persona e della carica, è andata meglio che a Walter Veltroni: il suo monito alla sinistra, garbato quanto severo, non è stato ibernato nel gelo che ha accolto la richiesta del fondatore del Pd di «una discussione seria» dopo le amministrative; è stato invece disciolto nei panni caldi dell’ostentato consenso: «Sono perfettamente d’accordo», ha subito dichiarato Bersani, e tutti gli altri dopo di lui. E pensare che non più tardi della settimana scorsa il Capo dello Stato aveva sommessamente fatto sapere di essere stufo dell’«ipocrisia» con cui si accolgono le sue parole.
Il fatto è che Napolitano ha ragione, ha maledettamente ragione. La sinistra italiana non è né «credibile», né «affidabile», né «praticabile», e per questo, nonostante la crisi oggettiva del centrodestra, non è in grado di proporsi come alternativa. Il che produce un danno non soltanto agli avversari di Berlusconi, che escono frustrati da ogni prova, ma al sistema politico nel suo complesso, e dunque anche al centrodestra. Non è forse crollata la Prima repubblica per l’assenza politica di un’alternativa? E Forza Italia non ha forse vinto le elezioni proprio perché i progressisti di Occhetto non apparivano credibili, affidabili, praticabili?
In altre parole, la sinistra non riesce a vincere le elezioni neanche quando il suo avversario crolla (come accadde col pentapartito), è un perfetto sconosciuto (Berlusconi nel ’94) o è in grave difficoltà (Berlusconi oggi). E quando ha governato, come pure è accaduto non senza buoni risultati, si è ogni volta farsescamente spaccata fra riformisti e «rivoluzionari», come se fossimo ancora ai tempi della Terza internazionale.
Il dramma è che questo schema torna prepotentemente a riproporsi oggi: cadute le illusioni di un’autentica alleanza di centrosinistra con Casini, il Pd si trova prigioniero di una coalizione con Vendola e Di Pietro, che con straordinaria miopia politica ha contribuito a creare e che tuttavia, come tutti sanno, non è né credibile, né affidabile, né praticabile.
La verità è che, tramontato il sol dell’avvenire dietro le macerie del Muro di Berlino, ed eliminato per via giudiziaria il riformismo craxiano, la sinistra italiana, anziché diventare una buona volta socialdemocratica, ha continuato a coltivare l’illusione della propria originalità, creando nei propri laboratori una serie impressionante di «terze vie» ogni volta fallimentari, l’ultima delle quali, il Pd, è stato giustamente definito da D’Alema un «amalgama mal riuscito».
In assenza di un’identità riformista europea, il Pd non può che essere preda di chiunque sia capace di fornirgli un succedaneo. Il giustizialismo è il cancro peggiore, perché colpisce al cuore l’idea forte di politica che la sinistra ha sempre coltivato, riducendola invece ad ancella dei pubblici ministeri, ma non è l’unico. Il Pd - e in questo suscita una certa tenerezza - sembra sempre permeabile al primo che passa, come quei ragazzi un po’ emarginati che, per farsi accettare, imitano nelle parole e nei gesti il figo dell’ultimo banco. Un giorno è Di Pietro, un giorno è Santoro, un altro Vendola, e un altro ancora Ezio Mauro: persone, sia chiaro, rispettabilissime, e che tuttavia non dovrebbero avere il monopolio della linea politica del maggior partito di opposizione.
Il risultato è sconcertante: persino sulla politica estera, fino a ieri considerata un punto fermo, il Pd ha ricominciato ad ondeggiare, spaventato dalla patetica propaganda «pacifista» di Vendola e Di Pietro e, come sempre, ossessionato dall’antiberlusconismo. Che non significa essere "contro" Berlusconi - lo sono milioni di italiani - ma fare di quest’essere contro l’unico tratto di identità condivisa e il solo motore dell’azione politica. In questo modo però non si riesce ad essere né credibili né affidabili, per la banalissima ragione che di rado la gente abbandona il certo per l’incerto, e quando vota vuol anche sapere, per esempio, chi andrà a palazzo Chigi (vi sembra normale che non esista un candidato alternativo a Berlusconi, o, il che è lo stesso, che ne esistano tre o quattro?).
Un tempo i comunisti non vincevano le elezioni, ma coltivavano con orgoglio l’arte dell’egemonia: era il segretario del partito a spiegare agli intellettuali come dovevano pensare. Oggi il Pci non c’è più, e anche gli intellettuali scarseggiano. Chi li ha sostituiti, però, gioca a parti invertite: così la sinistra continua a perdere, ma non decide più neanche perché.
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