Prandelli, l’alternativa con il gel

L’alternativa ha i capelli pieni di gel e una bic sempre in mano. Anti-Mourinho anche nella scrittura. Non bisogna cercare troppo per trovare l’avversario di José. Non la squadra, l’uomo: più di Ranieri, più di Ancelotti, più di chiunque altro, è Cesare Prandelli. È al traguardo, lui. Qui finisce un mondo e se ne apre un altro: campionato e Champions, quest’anno. Finito il periodo di prova, ammesso che ci sia mai stato.
L’hanno chiamato il migliore perché non ha mai sbagliato e perché bisogna sempre esagerare un po’ per crederci fino in fondo. Forse però l’Italia ha trovato davvero il più bravo, comunque. Se cerchi un altro così, se ti metti a scavare nelle liste, nelle proiezioni, negli elenchi, non trovi nessun altro come lui. L'anno scorso ai ragazzini del torneo internazionale di Arco fecero una domanda: chi è l'allenatore dei tuoi sogni? «Prandelli». Primo, prima di Capello e di Spalletti, prima della generazione dei nuovi. Cesare è un progetto in corso, un lavoro che trasforma un cantiere in un gioiello. L'allenatore del futuro: giovane e tosto, l'unico a saper individuare i ragazzi, a provarli, a crescerli, a svezzarli. Buttati dentro e nuota. Ha trovato un direttore sportivo che glieli ha presi, lui però li ha cresciuti, plasmati, formati. Allora è il domani. Mutu, Montolivo, Pazzini, Gilardino. Nomi e ruoli sono il dettaglio: bisogna prendere gente brava, poi ci pensa lui. È l'atteggiamento che funziona, il piano studiato per riprendersi il calcio: «L'organizzazione», dice lui. «Nient’altro che organizzazione». Così la rosa, la squadra, il gioco, il pubblico. È un insieme, un mondo che ha trasformato una squadra in un club. La dirigenza? Sì, va bene. Però poi conta il campo. La Fiorentina funziona perché c'è Cesare, perché hai l'idea che dentro ci sia un'anima che regge l'ingranaggio. Lui ne fa parte e poi ci mette pure la faccia.
Assomiglia al manager all'inglese, Prandelli. Alla Ferguson, oppure alla Wenger. È lì che si ispira: all'Arsenal che da dieci anni è una multinazionale gestita come un laboratorio d'arte. Va via uno, ne arriva un altro. «Vedi? Loro hanno perso Henry e tutti credevano che sarebbero crollati. Invece sono primi in Premiership e giocano il più bel calcio d'Europa». Lui ha perso Toni due stagioni fa, gli hanno tolto 50 gol, però sta là, come prima: terzo, quarto, quarto, terzo. Ha bisogno di continuare, di rimanere lì dov'è, di portare avanti il programma accumulato sui bigliettini che scrive mordendo il tappo della bic.

Non li porta mai in panchina, come fanno gli altri e come fa Mourinho. Lì lui ha bisogno di vedere, di capire, di ragionare: il foglio allontana dalla realtà e traccia uno schema che non si può applicare sempre. E quando cambia Prandelli non vuole scrivere.

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