Prandelli lancia Motta «È l’Italia del futuro» Già, se aspetta Balotelli...

Un gol e si è già fenomeni. Thiago Motta ha capito che il carnevale pazzo non sta a Rio ma qui, da Codroipo a Calascibetta. Un gol alla Slovenia, un bel gol, e anche l'oriundo diventa patriota, sventola il tricolore insomma è un fratello d'Italia. Cesare Prandelli si lancia nella celebrazione di un calciatore di qualità brasiliana e di mentalità europea, «un nuovo italiano anche in questo senso. E il futuro passa dai nuovi italiani». Strano che non se ne sia accorto prima di lui anche Dunga che non stava messo benissimo in mezzo al campo della sua Seleçao.
Di certo "oriundo" fa tendenza, fa studio araldico, fa albero genealogico, fa passaporto reclamato a furor di popolo. Qualcuno ha per caso dimenticato il caso Amauri, sognato da Lippi alla ricerca di chissà quale talento per il mondiale sudafricano. Un brasiliano verniciato di biancorossoeverde per esigenze di football, roba piccola che spiega il livello del nostro calcio, indiana jones alla ricerca di pietre verdi che sono piuttosto incolori. Come era accaduto con Mauro German Camoranesi, un argentino di cuore e di testa, comunque utile e prezioso per la nazionale e per la Juventus (di più), considerata la penuria di merce in quel settore, l'ala destra detta oggi esterno alto. Ma volete mettere la generazione di Causio-Claudio Sala-Bruno Conti? Volete mettere questi tre italiani a denominazione di origine controllata, talentuosi genuini, qualità e cuore, rispetto a quello che da una ventina di anni sta passando il convento calcistico italiano?
Volete paragonare Tardelli, Oriali, De Rossi, Gattuso (è ovvio il distinguo tecnico) con l'oriundo Motta? Questo non significa che l'interista campione d'Italia, d'Europa e del mondo, non serva a Prandelli per la perizia tattica e il cinismo di gioco ma se la corsa all'oriundo deve portare a questo prodotto allora sarebbe meglio dare un'occhiata negli asili, osare, avere il coraggio di far crescere un ragazzo italiano piuttosto che un meteco ordinario. Non ce ne sono? Non credo. O forse la scuola tattica di questi anni, il muscolo che predomina sul fosforo, la densità che cancella la qualità, il kamasutra tattico che smantella l'ars amandi spontanea e naturale cioè la sensibilità del piede, questa dottrina ci ha condotto a certe scelte forzate?
L'Italia di Monti e di Orsi è una fotografia ingiallita ma quelli erano davvero i più forti. Invece l'Italia di Sivori, Lojacono, Sormani, Angelillo, Montuori che razza di paese calcistico era diventato? Un'accozzaglia di virtuosi spatriati, con la carta di identità inventata in parrocchie e uffici anagrafici. Thiago Motta, comunque, fa il suo, e anche bene, nell'Inter che è un carrefour per ragione sociale. Ma la nazionale può farne a meno. Cesare Prandelli deve badare al sodo, si capisce, dunque chiede allo straniero di cantare Mameli. Ma non è detto che l'inno e la maglia possano servire a far crescere il calcio italiano.
Anche perché gli italiani in circolazione, quelli della cilindrata di Balotelli, dovrebbero forse restare all'estero, non avendo capito che cosa significhi essere professionisti. Sul ragazzo che parla bresciano la favola continua. È un oriundo di se stesso. Prandelli non lo porterà a Kiev («È un talento straordinario.

Quando darà continuità a queste sue qualità tornerà ad essere preso in considerazione. Come fare per cambiare il suo carattere? Non ho la bacchetta magica». Eppure la nazionale avrà bisogno di lui, patriota e screanzato. Un esempio per tutti.

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