Ogni tanto il calcio ha i suoi eroi e i suoi martiri. Josè Mourinho se ne è appena andato e appartiene alla prima tribù, lidolo è una necessità irrinunciabile per il popolo affamato, anche se bussa a denari sempre, dovunque e comunque. Lidolo ha mille avvocati, lidolo vince e trionfa, lidolo piange e commuove, lidolo non paga, eventualmente trova chi si offre al posto suo, è idolo ed eroe soprattutto in questo.
A Firenze, invece, è esploso il caso del martire, qualcuno ha messo su il palco per la vittima del sacrificio calcistico, è partita la solita raccolta di firme, è annunciata una festa della pace e della solidarietà, sono previsti cortei e proteste pubbliche, manca soltanto la marcia funebre, nel nome di Cesare Prandelli da Orzinuovi. Al posto suo toccherei ferro ed altro. Scrivono che sia la vittima della Fiorentina, martire della ferocia imprenditoriale e, insieme, dellincompetenza calcistica, dei fratelli Della Valle, giurano che Leo Corvino abbia preparato la tagliola per poi farla scattare al momento giusto.
Per i titoli di prima pagina e per scaldare i tifosi, può anche servire. Poi bisogna fare i conti con la realtà. Cesare Prandelli è un professionista e non un missionario evangelico; dopo cinque anni di panchina viola, aveva voglia di cambiare seduta e colore. A Firenze aveva fatto tutto e di più, portando la squadra, per cinque stagioni consecutive, a disputare il torneo più prestigioso, la Champions league e farla riconoscere oltre lArno. Poi le cose hanno preso unaltra velocità, poi la Fiorentina ha deciso di adeguare il proprio progetto (cessioni di Gilardino, Vatrgas e Mutu) in conseguenza di una crisi economica alla quale si sottraggono soltanto pochissimi grandi club che, tuttavia, tra qualche mese saranno costretti a fare i conti con il fair play finanziario dellUefa
Cesare Prandelli ha così capito che il giro del fumo lo stava intossicando, che il progetto della società andava altrove, che era arrivato il tempo di mettere da parte il cuore e gli affetti e di fare il professionista totale. In questo senso aveva ascoltato lofferta della Juventus che già quattro anni orsono, dopo lo tsunami di Calciopoli, a lui aveva pensato per poi scegliere Deschamps.
Comprensibile la disponibilità di Prandelli: non cè allenatore o, in genere, lavoratore, che non sogni di tornare sul luogo delle antiche passioni vissute da calciatore, a Milano è accaduto con Radice e Trapattoni, con Giacomini e Marchioro, con Capello che ha fatto il bis anche a Roma e a Torino, con la Juventus ci avevano riprovato Parola e Vycpalek, Deschamps e Ciro Ferrara, a Bergamo, tanto per dire a memoria, Vavassori, Cadè, Mutti, Rota, Mondonico.
Dunque Cesare era stato preso dalla nostalgia, la Juventus non si scorda mai. I Della Valle avevano smascherato la trattativa, mettendo in off side lallenatore: fuori la verità, spiega ai tifosi perché hai scelto la Juventus, è vero o non è vero? Vuoi andartene? Furono giorni di calore più che di colore, il popolo viola smarrito e tradito, Prandelli in difficoltà nella fase finale della stagione con la squadra allo sbando in classifica (nel girone di ritorno, con Cagliari e Livorno, da retrocessione!) e la decisione ultima del gran rifiuto, niente Torino, niente ritorno a casa. Ma allora perché non restare a Firenze andando comunque via dalla Fiorentina? Così ha fatto, così hanno deciso quelli della federcalcio togliendo un peso a Prandelli e ai Della Valle.
La nazionale, dunque, per uno che ha vinto tre scudetti, una coppa dei Campioni, una coppa delle Coppe, una Supercoppa Uefa e per due volte è stato premiato con la Panchina doro, la stazione finale e più illustre arriva a cinquantatrè anni.
Cesare Prandelli chiude la valigia ma non trasloca, Coverciano è un sito tranquillo, senza il fastidio del progetto, del mercato estivo, della formazione da mandare in campo ogni domenica. La nazionale trova un tecnico capace, ambizioso, deciso, normale. Il resto è fuffa.
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